baris (βᾶρις, ἡ)

Autore Federico Della Rossa
Traduzione barca
Termini trattati nella voce

abaris (ἄβαρις), baribas (βαρίβας, ὁ), boubaras (βουβάρας), boubaris (βούβαρις).

Etimologia

La parola, secondo Chantraine 1968-1980 e Beekes, van Beek 2010, è di origine egiziana (vd. copto ⲃⲁⲣⲓ, barī, “barca”; neoegiziano br-bjr, “barca”, vd. Erman, Grapow 1926-1961 s.v.): cf. Nencioni 1939, 16, e Hemmerdinger 1968, 241 (che confronta anche l’ugaritico br). Da essa deriva, in latino, il prestito bāris (Prop. 3.11.44); secondo Beekes sarebbe derivato da β anche il sostantivo latino barca, ma è forse più semplice ritenere con Nencioni che barca derivi direttamente da un termine egiziano (si osservi inoltre il carattere erudito e ironico del prestito baris nel passo properziano, dove le barides di Antonio e Cleopatra sono contrapposte alle liburne romane: non pare, del resto, che a Roma il prestito baris fosse particolarmente diffuso). In alternativa, Furnée 1972, 325, ritiene che tutte queste parole derivino da «eine mediterrane Schiffsbezeichnung». È probabilmente da ritenere di etimologia distinta, invece, l’omonimo βᾶρις, “grande casa” (lemma trattato assieme al precedente, invece, dal LSJ): secondo Chantraine e Beekes, questa parola è di origine illirica (vd. Krahe 1955-64, vol. 1, 39) e affine al messapico βαυρία, “casa”, e a βύριον, dal medesimo significato. Guglielmotti 1889 registra un termine italiano «baride», derivandolo però da Forcellini 1771, lessico latino; «baride» non risulta altrimenti attestato in italiano ed è probabilmente da considerare un’italianizzazione del lat. baris.

Termini linguisticamente connessi

Derivati di β sono ἄβαρις, “persona di terraferma [i.e., che non ha una β]” (Hsch. s.v.) e βαρίβας, “chi sale su una barca” (Soph. fr. 517 TrGF = Antiatt. β 6). La parola βαρυδάνειν/βαρυδάνιν, registrata da LSJ e DGE, è presente in Hsch. β 262, ma è con ogni probabilità da ritenere corrotta: vd. testo e apparato in Latte, Cunningham 2018, 424.

Affine è il termine βούβαρις, attestato in Filisto di Siracusa (BNJ 556 F 69 = Hsch. s.v. [Salmasius: βουβάρτις H]), che doveva essere usato per una versione più grande della β, come suggerisce il prefisso accrescitivo βου-. LSJ menziona βούβαρις alla voce βουβάρας, corrispondente a Eupolis fr. 436 PCG. βουβάρας è glossato da alcuni lessici come μεγαλοναύτης e ricollegato etimologicamente a βᾶρις (Et. Gen. β 194, Et. Magn. p. 206 K., Hsch. β 874), ma questa operazione è problematica, specie per il fatto che le stesse fonti spiegano il termine anche in altri modi (ἢ παρὰ τὸ βάρος ἔχοντα καὶ αὐχηματίαν Et. Gen., ἢ ὁ μέγας καὶ ἀναίσθητος ἄνθρωπος Hsch.) e che, sebbene gli etimologici potessero naturalmente aver ereditato la notizia che l’aggettivo βουβάρας, in Eupoli, sarebbe stato riferito a un marinaio, μεγαλοναύτης non è altrimenti attestato nella lingua greca, il che fa pensare a un termine appositamente coniato per spiegare l’etimologia ormai ignota di questa parola. Vista l’incertezza, è preferibile trattare i termini βούβαρις e βουβάρας separatamente.

Attestazioni lessicografiche

Antiatt. β 6 βάρις· κατ’ οἰκίας καὶ πλοίου; Ammon. 96 β μέν ἐστιν Αἰγυπτίων πλοῖον, λέγεται δὲ καὶ ἡ μεγάλη οἰκία; Cyrill. βαρ 29 (Drachmann 1936, 72) β· ὀξυτόνως πλοῖον. βαρυτόνως δὲ τεῖχος ἢ οἰκία μεγάλη ἢ στοὰ ἢ πύργος (vd. anche Hsch. β 232); Συναγωγὴ λέξεων χρησίμων (uersio antiqua) β 22 βάρεις· πλοῖα, τείχη, στοαί, αὐλαί, πύργοι, σφῦραι (vd. anche Suda β 114, [Zon.] β p. 373, Et. Magn. p. 188 K., Et. Gud. β p. 261); Et. Parv. β 5 βάρεις· τί λέγεται καὶ πόσα σημαίνει; πλοῖα, τείχη, στοαί, αὐλαί, πύργοι· ἡ εὐθεῖα, ἡ βάρεις· ἐτυμολογεῖται δὲ παρὰ τὸ μετὰ βίας ἀρηρέναι; Additamenta in Etym. Gud. (e codd. Vat. Barber. gr. 70 [olim Barber. I 70] + Paris. suppl. gr. 172) β 261 βᾶρις· βάρεως· πηγή. τὸ πλοῖον, Αἰσχύλος [Suppl. 882] «βαίνειν κελεύω βᾶριν εἰς ἀμφίστροφον». εἴρηται παρὰ τὸ βαίνω βᾶρις, ὡς δαίω δῆρις.

Trattazione:

Il termine β indica un’imbarcazione piatta da carico, tipicamente egiziana. Le prime attestazioni del termine compaiono in Eschilo (Pers. 553, 1076 τρισκάλμοισιν… βάρισιν; Suppl. 836, 873 -dove una βᾶριν è esplicitamente chiamata Αἰγυπτίαν-, 882) e in Erodoto, tutte nel logos egizio (2.41; 60 [luogo letto e ripreso da Them. εἰς τὸν αὐτοκράτορα Κωνστάντιον, p. 49 Harduin b]; 96; 179). Quest’ultimo fornisce anche una dettagliata descrizione della fabbricazione e dell’utilizzo di questo tipo di barca (2.96): Τὰ δὲ δὴ πλοῖά σφι τοῖσι φορτηγέουσι ἐστὶ ἐκ τῆς ἀκάνθης ποιεύμενα, τῆς ἡ μορφὴ μέν ἐστι ὁμοιοτάτη τῷ Κυρηναίῳ λωτῷ, τὸ δὲ δάκρυον κόμμι ἐστί· ἐκ ταύτης ὦν τῆς ἀκάνθης κοψάμενοι ξύλα ὅσον τε διπήχεα πλινθηδὸν συντιθεῖσι, ναυπηγεύμενοι τρόπον τοιόνδε· [2] περὶ γόμφους πυκνοὺς καὶ μακροὺς περιείρουσι τὰ διπήχεα ξύλα· ἐπεὰν δὲ τῷ τρόπῳ τούτῳ ναυπηγήσωνται, ζυγὰ ἐπιπολῆς τείνουσι αὐτῶν. νομεῦσι δὲ οὐδὲν χρέωνται· ἔσωθεν δὲ τὰς ἁρμονίας ἐν ὦν ἐπάκτωσαν τῇ βύβλῳ. [3] πηδάλιον δὲ ἓν ποιεῦνται, καὶ τοῦτο διὰ τῆς τρόπιος διαβύνεται. ἱστῷ δὲ ἀκανθίνῳ χρέωνται, ἱστίοισι δὲ βυβλίνοισι. ταῦτα τὰ πλοῖα ἀνὰ μὲν τὸν ποταμὸν οὐ δύναται πλέειν, ἢν μὴ λαμπρὸς ἄνεμος ἐπέχῃ, ἐκ γῆς δὲ παρέλκεται, κατὰ ῥόον δὲ κομίζεται ὧδε· [4] ἔστι ἐκ μυρίκης πεποιημένη θύρη, κατερραμμένη[1] ῥιπὶ καλάμων, καὶ λίθος τετρημένος διτάλαντος μάλιστά κῃ σταθμόν. τούτων τὴν μὲν θύρην δεδεμένην κάλῳ ἔμπροσθε τοῦ πλοίου ἀπίει ἐπιφέρεσθαι, τὸν δὲ λίθον ἄλλῳ κάλῳ ὄπισθε. [5] ἡ μὲν δὴ θύρη τοῦ ῥόου ἐμπίπτοντος χωρέει ταχέως καὶ ἕλκει τὴν βᾶριν (τοῦτο γὰρ δὴ οὔνομά ἐστι τοῖσι πλοίοισι τούτοισι), ὁ δὲ λίθος ὄπισθε ἐπελκόμενος καὶ ἐὼν ἐν βυσσῷ κατιθύνει τὸν πλόον. ἔστι δέ σφι τὰ πλοῖα ταῦτα πλήθεϊ πολλὰ καὶ ἄγει ἔνια πολλὰς χιλιάδας ταλάντων. Trad.: “Le barche per chi trasporta carichi sono costruite in acacia, la cui forma è molto simile al loto di Cirene [Zizyphus lotus (L.)], ma la cui lacrima è gomma. Dopo aver tagliato da questa acacia pezzi di legno di circa due cubiti, li uniscono come se fossero mattoni, costruendo la barca in questo modo: con tenoni fitti e grandi fissano i legni di due cubiti; creata la barca in questo modo, stendono le panche sulla loro superficie. Non usano intelaiature; all’interno rinsaldano le giunture con il papiro. Fanno un solo timone, e questo passa attraverso la carena. Usano un albero in legno di acacia e vele di papiro. Queste barche non riescono a navigare risalendo il fiume, se non le spinge un vento forte, ma sono trascinate da terra, e sono portate lungo la corrente in questo modo. C’è una specie di graticcio a forma di porta, costruito con legno di tamerice, intrecciato con un graticcio di canne, e una pietra forata di circa due talenti di peso. Si fa andare il graticcio, legato a una corda, davanti alla barca; la pietra dietro, a un’altra corda. Per la spinta della corrente il graticcio va veloce e trascina la baris (questo è il nome di queste barche), mentre la pietra, trascinata dietro e rimanendo sul fondo, tiene dritta la rotta. Queste barche esistono in gran quantità e alcune hanno una portata di molte migliaia di talenti». Per dettagliati commenti a questo passo vd. Lloyd 1975-1988 e Asheri 2007 ad loc. La testimonianza di Erodoto è stata messa a confronto con i resti di una nave naufragata nei pressi di Thonis-Heracleion (vicino all’attuale Abu Qir), databile al Periodo Tardo e scoperta nel 2003, che potrebbe corrispondere al modello della β descritto da Erodoto: vd. i numerosi studi di A. Belov in bibliografia. Diverse consonanze sono riscontrabili anche con l’arte figurativa egiziana (vd. infra e Belov 2014 b, 322-3). Anche in età successive la β è connotata come imbarcazione egiziana o generalmente orientale: vd. per esempio Plut. mulierum uirtutes 263 C (il racconto sulla moglie di Pite è di ambientazione persiana).

Il termine è attestato anche in fonti documentarie: in P. Hibeh 1.100 (documento datato al 267 a. C.), l. 13, c’è notizia di un carico di orzo spedito εἰς βᾶριν, e per questa imbarcazione erano previsti un κυβερνήτης e un ναύκληρος. In un papiro dell’archivio di Zenone (P. Cairo Zen. 4.59745, l. 66, 255/4 a. C.) è fatta menzione di un κυβερνήτης τῆς λιθηγοῦ βάρεως. In P. Coll. Youtie 1.7 (una lettera privata del 224 a. C.), si trova menzione di una β usata da alcune donne depredate da briganti. In Chrest. Wilck. 11 a 22 (documento datato al 25 settembre 123 a. C.), una β trasporta soldati. Essa è infine menzionata anche in P. Tebt. 3.701 a 26, per un carico di pesci.

Per Diodoro Siculo, la β era una barca egizia riservata al trasporto dei morti (1.92 e 96; il materiale egiziano del primo libro di Diodoro è almeno in parte derivato da Ecateo di Abdera, BNJ 264 F 25); questo termine è utilizzato anche per l’imbarcazione con cui, secondo il mito, Iside andò in cerca di suo marito Osiride. Vd. Plut. de Iside et Osiride 358 A (dove la β è detta παπυρίνη; Lasserre, nella sua edizione di Eudosso di Cnido, ritiene questo passo di Plutarco un possibile frammento di questo autore [fr. 290]), Chaeremon BNJ 618 F 5. In Sinesio, Aegyptii siue de prouidentia 1.7.2, il termine indica un’imbarcazione usata da Osiride. In due epigrammi, rispettivamente di Leonida di Taranto (AP 7.67) e di Zona di Sardi (AP 7.365), Caronte traghetta i morti con una β.

La β compare più di una volta in testi magici: una βᾶρις ἱερή è invocata in PGM 5.174 in una preghiera per acciuffare un ladro, mentre in PGM 13.152=460, 154 e 464 la β è attributo di Helios. Una frase (PGM 13.462-3) considerata da Preisendanz uno scolio, entrato a testo, alla successiva parola βάρεως, dice λέγει τὴν βᾶριν, ἐφ’ ἣν ἀναβαίνει ἀνατέλλων τῷ κόσμῳ, “[chi scrive] intende la barca sulla quale [Helios, il sole,] sale mentre sorge per il mondo”. In un rito magico descritto in PGM 7.618, perché l’incanto abbia effetto anche oltre il mare, si prescrive di porre una lucerna su una [β]ᾶρις παπυρίνη, sul tratto di mare in questione. È possibile che questo peculiare termine ritorni più di una volta a causa dell’origine egiziana di questi testi.

Il termine ha una sua fortuna nella lingua poetica: oltre alle occorrenze eschilee e agli epigrammi ricordati supra, in tragedia ricorre anche in Euripide (IA 297 βαρβάρους βάριδας) e in un frammento adespoto, tramandato da Hsch. β 229 (= fr. adesp. 204 a TrGF) βᾶριν †ακέδα†· τὸν δούριον ἵππον, con riferimento al cavallo di Troia: le principali congetture per sanare il corrotto †ακέδα† sono state ἀπέλα<γον> (Latte 1941, 87-8) oppure, con la supposizione che fosse il nome del tragico, Ἀχαιός (Petruševski 1955). L’espressione αὐτουργότευκτον βᾶριν è usata da Licofrone (Alex. 747) per l’imbarcazione di Odisseo. Il termine, infine, è usato in poesia latina da Properzio (citato supra, nella forma grecizzante baridos).

Il termine tende a perdere progressivamente la sua connotazione egiziana: prova ne è l’uso che ne fa Procopio (de bellis 5.26.10-3, 6.7.5, 8.20.54-5; de aedificiis 1.6.7) per parlare di imbarcazioni di diversa provenienza (nel Lazio, nell’isola Βριττία e a Costantinopoli).

[1] Questo è il testo di tutti i manoscritti. Wilson (2015 a e b) ha congetturato κατεστρωμένη, “ricoperta”. Lo studioso si chiede (in Wilson 2015 b ad loc.) «how could one use stitching to join the planks of a raft?». Va detto, però, che la proposta di Wilson è comunque strana, dato che non è chiaro perché questa specie di zattera dovrebbe essere ricoperta da una stuoia. Si può invece pensare che i rami di tamerice usati per questo graticcio fossero piuttosto sottili, il che autorizza a ritenere che venissero legati assieme con delle canne.

Bibliografia
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Galleria fotografica
Data inserimento 09/07/2023
DOI 10.25429/sns.it/lettere/lgnn0008
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