Vitamina D e cognitivo - ruolo del colecalciferolo nelle funzioni cerebrali

27 Febbraio 2013

 
 
Ettorre E, Cerra E, Vulcano A, Vigliotta MT, Giorno A, Colella F, Servello A, Andreozzi P, Marigliano V

Autori   [Indice]

Ettorre E1, Cerra E1, Vulcano A1, Vigliotta MT1, Giorno A1, Colella F1, Servello A1, Andreozzi P1, Marigliano V1

1Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche, “Sapienza” Università di Roma  


Citation: Ettorre E, Cerra E, Vulcano A, et al. Vitamina D e cognitivo - ruolo del colecalciferolo nelle funzioni cerebrali. Prevent Res, published on line 27. Feb. 2013, P&R Public. 46.
Available from: http://www.preventionandresearch.com/. doi: 10.7362/2240-2594.105.2013


doi: 10.7362/2240-2594.105.2013


Parole chiave: Vitamina D, cognitivo, funzioni cerebrali

Abstract   [Indice]

La vitamina D è ormai considerata un importante ormone steroideo polifunzionale. La sua azione sul metabolismo osseo e sulla funzione muscolare è accompagnata da effetti extra-scheletrici a carico della risposta immunitaria specifica, dell’apoptosi e della carcinogenesi, del sistema cardiovascolare e del metabolismo del glucosio, così come della funzione neuroprotettiva.
L’insufficienza di vitamina D sembra essere molto frequente tra gli individui più anziani. Le cause di questa carenza in tali soggetti dipendono in particolare dalla carente di assunzione di cibo, dalla ridotta sintesi dell’ormone a livello cutaneo e dalla mancata esposizione al sole. I dati in letteratura suggeriscono che esiste una correlazione positiva tra le concentrazioni nel sangue di vitamina D 25OH, le funzioni cognitive e la performance degli individui. Si è analizzato un gruppo di 43 partecipanti, con diagnosi di deterioramento cognitivo (MMSE <26/30) e bassi livelli di concentrazione 25-idrossivitamina D [25 (OH) D] (<30 mg / dl) nel siero e sono stati confrontati gli effetti, in termini di stato cognitivo e funzionale, della supplementazione orale nei due gruppi: è stato somministrato al primo gruppo colecalciferolo alla dose di 50.000 UI/ settimana e al secondo 50.000 IU/mese.

Testo   [Indice]

Negli ultimi anni la mancanza di esposizione alla luce solare, fonte del 90% della Vitamina D, è stato il fattore più rilevante della sua sempre più diffusa carenza. I numeri suggeriscono la rilevanza del problema: circa il 70-80% della popolazione italiana di età superiore ai 69 anni, e circa un milione di persone al mondo, è carente di questa vitamina; cause di questa deficienza in età geriatrica sono soprattutto la carenza alimentare (120-200 I.U./die), la ridotta sintesi nella cute e una scarsa esposizione al sole di questi soggetti.Un fabbisogno normale di vitamina D giornaliero dovrebbe essere intorno alle 700 -800 UI/die, in tutti i tipi di dieta c’è una carenza di questa vitamina, tuttavia tra gli alimenti più ricchi ricordiamo alcuni tipi di pesce come l’aringa,  lo sgombro, le sardine; ma anche l’ olio di fegato di merluzzo, il burro, i formaggi e le uova. Inoltre, molti alimenti in commercio (cereali per la colazione, latte di soia o di riso) sono addizionate con vitamina D.
Negli ultimi anni la vitamina D ha attirato l’attenzione dei ricercatori in vari campi, alla nota azione sul metabolismo osseo e la funzione muscolare si accompagnano azioni extra-scheletriche specifiche su risposta immune,apoptosi e cancerogenesi, sistema cardiovascolare emetabolismo glicidico, nonché sullafunzione neuroprotettiva.
Il recettore della vitamina D (VDR) risulta infatti essere ubiquitario nell’organismo e capace di legare gli elementi responsivi alla vitamina D (VDRE) presenti nella regione promotrice dei geni target (3).
Gli studi sulla relazione tra vitamina D e funzione cognitiva/comportamentale sono stati svolti inizialmente su modelli murini di vitamina D e topi knock-out per il VDR, da questi studi si è visto come il calcitriolo sia capace di passare la barriera ematoencefalica e come possa anche essere sintetizzato nell’encefalo, grazie alla presenza del l’enzima 1α-idrossilasi (ultima tappa enzimatica regolatrice per la sintesi di vitamina D attivata) (4). Ad oggi il VDR è stato identificato sia nel tessuto cerebrale umano che murinocon una distribuzione molto simile tra le due specie in microglia, astrociti e oligodendrociti. Il calcitriolo marcato iniettato nell’encefalo di criceto si localizza elettivamente a livello di regioni implicate nelle funzioni mnemoniche e cognitive: nucleo basale di Meynert, nucleo mediale settale, nucleo della banda diagonale di Broca e gruppo amigdaloide centrale (5).Sembra, quindi, che la vitamina D abbia un ruolo neuroprotettivo influenzando diversi processi, tra cui l’omeostasi del calcio a livello cellulare attraverso la regolazione dell’espressione dei canali del calcio voltaggio-dipendenti e di conseguenza il firingneuronale; ma anche i processi di mielinizzazione, sinaptogenesi, neurogenesi e il rilascio di neurotrasmettitori (2).
Il calcitriolo, inoltre, up-regola l’espressione nel tessuto cerebrale di diversi geni e proteine, tra cui le neurotrofine: il nervegrowthfactorcheinfluenza la neurotrasmissione e la plasticità sinaptica specie alivello di ippocampo e neocortex, la neurotrofina-3, che aumenta la trasmissione sinaptica e la neurotrofina-4/5, implicata nella trasmissione del segnale calcio-dipendente (6-7).Il calcitriolo presenta anche un’azione antinfiammatoria inibendo la produzione di citochine pro-infiammatorie e dell’ossido-nitrico-sintasi inducibile; aumenta i livelli di glutatione, importante molecola antiossidante cerebrale, aumentando i livelli di γ-glutamiltranspeptidasi (8).
Recenti ricerche svolte in Giappone su topi dimostrano che le iniezioni di vitamina D possono migliorare la rimozione del peptide dal cervello di topi, la Vit. D incrementa l’eliminazione del peptide beta amiloide attraverso la barriera ematoencefalica, regolando l’espressione della proteina attraverso il VDR (13); è possibile, quindi, che bassi livelli di vitamina D siano implicati nel declino cognitivo correlato all’età e che siano anche associati alla malattia di Alzheimer.
Nell’anziano l’ipovitaminosi D è associata con diversi tipi di demenza; si verifica una correlazione positiva tra concentrazione ematica di 25OH vitamina D, funzioni esecutive e cognitive globali. Dati presenti in letteratura suggeriscono come la Vitamina D possa prevenire il decadimento cognitivo (11). I polimorfismi del gene per il VDR sono correlati alle performance cognitive, con particolare riferimento ad attenzione e memoria, ed ai sintomi depressivi in soggetti anziani: i polimorfismi identificati dalle endonucleasi di restrizione BsmI e TaqI conferiscono suscettibilità, mentre il polimorfismo identificato da ApaI risulta essere protettivo. Lo studio prospettico InChianti ha mostrato un rischio relativo di declino cognitivo sostanziale per i soggetti con severo deficit di vitamina D rispetto ai soggetti repleti (19).Gli studi di intervento al momento non dimostrano però un miglioramento della funzione cognitiva globale in seguito ad un breve ciclo di supplementazione con vitamina D, pur considerando il breve follow-up (11, 12).
Le potenzialità della vitamina D come molecola antiossidante e neuroprotettiva nella Malattia di Alzheimersono attualmente oggetto di studio. Alcuni dati mostrano la riduzione del livello di trascrizione del gene VDR nelle cellule piramidali dell’ippocampo di soggetti affetti. La predisposizione genetica all’insorgenza della malattia resta poco chiara: l’Apolipoproteina E è l’unico determinante confermato di suscettibilità alla MA. Studi genetici hanno evidenziato la presenza di loci di suscettibilità alla MA anche sul cromosoma 12, dove è collocato il gene per il VDR. I polimorfismi del sito di legame del VDR al DNA non sembrano associarsi all’insorgenza della patologia,mentre i risultati riguardanti il sito di legame con la vitamina D sembrano più promettenti (14).
Nei soggetti affetti da MA moderato, l’ipovitaminosi D è correlata sì a peggiori performance cognitive ma anche a disturbi dell’umore (09-10-16); e le performance cognitive risultano peggiori nei soggetti con probabile Alzheimer con ipovitaminosi D se confrontati a soggetti con probabile Alzheimer con livelli di vitamina D adeguati(16).
Uno studio nordamericano svolto su un campione di 1.248 ultrasessantenni seguiti da un programma di assistenza domiciliare mostra l’associazione dell’ipovitaminosi D con lediverse forme di demenza e lo stroke, inoltre un sottogruppo di 365 soggetti è stato sottoposto a neuroimaging con risonanza magnetica nucleare: l’ipovitaminosi D correla con specifici indicatori neuroradiologicidi patologia cerebrovascolare (microinfarti, leucoaraiosi) (17).Si può quindi ipotizzare che l’azione neuroprotettiva della vitamina D sia almeno in parte mediata dall’azione antiossidante e antinfiammatoria sulle arterie periferiche, oltre che dall’effetto benefico sul controllo pressorio (1, 8).
Uno studio svolto presso il centro Alzheimer (U.V.A.) del nostro Dipartimento ha dimostrato una  correlazione tra deficit cognitivo e ipovitaminosi D;  Una supplementazione con 50.000 UI di vitamina D a settimana era positivamente correlato ad un miglioramento delle capacità cognitive rispetto ad una supplementazione a dosaggio ridotto (50.000 U I/mese)Abbiamo analizzato un gruppo di 43 pazienti con diagnosi di deficit cognitivo (MMSE <24/30, MOCA test <26/30 ) e bassi livelli ematici di vitamina D (<30 mg/dl).
Il gruppo è stato, quindi, suddiviso in due sottogruppi: i CASI che non avevano mai supplementato la vit. D e i CONTROLLI (in terapia orale con colecalciferolo per os al dosaggio di 50.000 UI al mese); Tutti i pazienti sono stati sottoposti a una valutazione preliminare con MMSE, MoCA test, ADL, IADL, GDS, NPI e Tinetti Scale. Il gruppo dei casi è stato avviato ad un trattamento con colecalciferolo al dosaggio di 50.000 UI a settimana. Tutti i pazienti sono stati riesaminati successivamente dopo 6 mesi di trattamento.
I casi mostravano una stabilità del CDR (ClinicalDementia Rating Scale) rispetto ai controlli che perdevano circa 1,8 punti;Al MMSE i casi guadagnavano circa 2,27 punti rispetto ai controlli che ne perdevano 1, 65; Al MoCA test guadagnavano 1,5 punti mentre i controlli avevano performance ridotte di 2 punti.
Anche il nostro studio ci indicava una relazione tra ipovitaminosi D e demenze; attualmenteperò disponiamo solo di dati solidi riguardo la plausibilità biologicadi questa relazione (18), gli studi fino ad ora disponibili nell’essere umano non permettono di stabilire con certezza se tra le due condizioni sia presente un nesso di causalità oppure se questa associazione sia dovuta alla semplice compresenza dei due fenomeni favorita dallo stile di vita inadeguato dei pazienti anziani; la definizione di una correlazione causale certa necessita d ulteriori studi prospettici con flow-up prolungati.

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Autore di riferimento   [Indice]

Elisabetta Cerra
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche, “Sapienza” Università di Roma 
e-mail: info@preventionandresearch.com

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