Screening del carcinoma colorettale: impatto della ricerca del sangue occulto nelle feci
Abstract
[
Indice]
Il cancro del colon-retto (CCR), rappresenta una delle neoplasie più frequenti per incidenza e mortalità, nei paesi industrializzati. Il CCR risulta particolarmente suscettibile di screening, nella maggior parte dei casi esso origina da un adenoma benigno, impiegando in media 10 anni per trasformarsi. Questa lunga fase di latenza costituisce un’eccellente finestra temporale per porre diagnosi precoce, quest’ultima se attuata attraverso uno specifico programma di screening, rappresenta il mezzo più potente a nostra disposizione per ridurre l’incidenza e dunque la mortalità del CCR. Le correnti linee guida europee raccomandano la ricerca del sangue occulto fecale immunochimico (iFOBT) come test di screening di primo livello, da eseguire su uomini e donne di età compresa tra i 50 e i 74 anni, con una periodicità biennale, i soggetti risultati positivi alla ricerca del sangue occulto nelle feci devono essere sottoposti ad ulteriori accertamenti diagnostici: la colonscopia, eventualmente coadiuvata dalla colonscopia virtuale o dal clisma opaco a doppio contrasto. Due sono i test disponibili per confermare o meno la presenza di sangue occulto nelle feci: il test al guaiaco (gFOBT) e il test immunochimico (iFOBT). L’iFOBT è più specifico e più sensibile rispetto al gFOBT, è in grado infatti di individuare anche minime tracce di sangue fecale. La colonscopia assume una valenza secondaria rispetto all’ iFOBT nell’ambito dello screening del CCR. Essendo, infatti, una metodica invasiva, l’esecuzione della colonscopia su tutta la popolazione suscettibile di screening del CCR, aumenterebbe notevolmente il rischio di complicanze legate alla metodica. Il bilancio dunque tra i benefici ed i rischi per i pazienti, utilizzando la colonscopia come indagine di screening, risulterebbe meno favorevole rispetto a quello ottenuto utilizzando il FOBT.
Testo
[
Indice]
Epidemiologia
Il cancro del colon-retto (CCR), rappresenta una delle neoplasie più frequenti per incidenza e mortalità, nei paesi industrializzati (1). In Italia, l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) registra in media ogni anno 88,8 casi di CCR ogni 100.000 uomini e 70,3 ogni 100.000 donne, ed il numero stimato di nuovi casi per anno è passato da 38.000 nel 1990 a 47.000 nel 2008. Per gli uomini il rischio di ammalarsi di CCR nel corso della vita (0-74 anni) è del 5,1%, mentre per le donne scende al 3,1 %; il rischio di morirne è del 1,7% per gli uomini e dell’1% per le donne (2). Con il passare degli anni si è verificato dunque un incremento dell’incidenza di tale neoplasia, al quale però corrisponde una lieve, ma altrettanto significativa, riduzione della mortalità. Ciò è stato possibile grazie all’attuazione su tutto il territorio europeo di un programma di screening del CCR, la cui utilità si basa sull’individuazione delle eventuali lesioni in uno stadio quanto più precoce possibile. Il cancro del colon precocemente diagnosticato, infatti, presenta una prognosi nettamente migliore rispetto ad un cancro individuato in fase avanzata (3). Il CCR risulta particolarmente suscettibile di screening, nella maggior parte dei casi esso origina da un adenoma benigno, impiegando in media 10 anni per trasformarsi(4). Questa lunga fase di latenza costituisce un’eccellente finestra temporale per porre diagnosi precoce, quest’ultima se attuata attraverso uno specifico programma di screening, rappresenta il mezzo più potente a nostra disposizione per ridurre l’incidenza e dunque la mortalità del CCR.
Lo screening del CCR: quando e come attuarlo?
Il 2 Dicembre del 2003 sono stati redatti dai paesi facenti parte dell’Unione Europea nell’ambito del “Council Recommendation on Cancer Screening”, i principi su cui si basa lo screening del CCR. Essi evidenziano come lo screening condotto su un’intera popolazione è un processo che inizia con l’educazione della stessa riguardo la patologia e termina con il follow-up e il trattamento dei pazienti che presentano risultati anomali al test; la garanzia e il controllo della qualità sono aspetti cruciali di tale processo. Le linee guida europee sulla garanzia della qualità nello screening e nella diagnosi del cancro del colon sono state redatte per informare i politici europei, gli specialisti della sanità pubblica, i professionisti e tutti coloro che sono coinvolti nel programma di screening, circa le regole essenziali, i principi guida e le procedure standards su cui dovrebbe basarsi il programma di screening del cancro del colon all’interno di tutti i paesi membri dell’Unione Europea, in modo tale da impostarlo e svolgerlo nel miglior modo possibile. Per poter trarre beneficio da questo programma di screening la qualità dovrebbe essere ottimale ad ogni livello del processo, a partire dall’informazione, dall’identificazione e dal coinvolgimento della popolazione target fino all’esecuzione vera e propria del test e, se necessario, al “work-up” diagnostico delle lesioni identificate, al loro trattamento e sorveglianza. Ciascun paese dell’Unione Europea dovrebbe mettere a confronto i benefici derivanti dallo screening del CCR con quelli derivanti da altri programmi; poiché negli ultimi anni si è osservato un aumento dell’incidenza del cancro del colon in tutta Europa, il beneficio potenziale derivante da un programma di screening sul CCR è significativo in tutti i paesi dell’Unione Europea. A partire dalla fine del 2007 infatti, 17 paesi membri hanno realizzato un programma nazionale popolare di screening del CCR (5); di questi dieci hanno utilizzato come test di screening solamente la ricerca del sangue occulto nelle feci (Faecal Occult Blood Test - FOBT), sei hanno utilizzato sia il FOBT che l’endoscopia e uno solo la colonscopia. Le correnti linee guida europee (6) raccomandano il FOBT immunochimico come test di screening di primo livello, da eseguire su uomini e donne di età compresa tra i 50 e i 74 anni, con una periodicità biennale, i soggetti risultati positivi alla ricerca del sangue occulto nelle feci devono essere sottoposti ad ulteriori accertamenti diagnostici: la colonscopia, eventualmente coadiuvata dalla colonscopia virtuale o dal clisma opaco a doppio contrasto. L’esame endoscopico, dunque, assume una grande importanza come esame di secondo livello (Council of the European Union 2003).
Attualmente, il FOBT rappresenta l’indagine primaria da eseguire sulla popolazione target, nell’ambito del programma di screening del CCR, eventualmente completato, in caso di positività, dalla colonscopia (7). Il FOBT è un test che analizza la presenza del sangue occulto (non visibile ad occhio nudo) nelle feci. La maggior parte dei cancri colon rettali e alcuni polipi adenomatosi sanguinano, determinando la perdita di emoglobina con le feci; quest’ultima è divenuta dunque il biomarker di scelta negli attuali programmi di screening. Il reperimento di una quantità di sangue nelle feci compresa tra 0.5 e 1.0 mL/d è considerato un evento fisiologico, dovuto probabilmente ad un sanguinamento gengivale o all’ingestione di carne, il reperimento di un quantitativo superiore è considerato invece un evento patologico, meritevole di ulteriori indagini. Due sono i test disponibili per confermare o meno la presenza di sangue occulto nelle feci: il test al guaiaco (gFOBT) e il test immunochimico (iFOBT). Il primo indaga la presenza di qualunque tipo di sangue nelle feci, umano o non umano, il secondo è specifico invece per il sangue umano.
Il test al guaiaco rappresenta il test più economico ma anche quello meno specifico, esso utilizza un agente chimico che reagisce con l’attività perossidasica dell’Hb (contenuta nel gruppo eme). In presenza di perossido di idrogeno si ha l’ossidazione dell’acido alfa-guaiaconico (un composto fenolico) in una struttura chinonica con sviluppo di colore blu per reazione intramolecolare. Questo test riconosce dunque il gruppo eme dell’emoglobina, identico sia negli uomini sia negli animali, e non è quindi in grado di distinguere tra Hb umana e Hb proveniente dai residui della dieta. Il g FOBT è un test di screening sicuro, privo di effetti collaterali, associato però ad un numero elevato di falsi positivi: in circa l’1% delle persone esaminate in due dei tre trials clinici condotti per valutare l’efficacia di tale test come metodica di screening, nonostante la positività al gFOBT, la colonscopia non ha evidenziato la presenza né di adenomi né di carcinomi colici.
L’efficacia del test immunochimico, a differenza del test al guaiaco, è stata dimostrata solamente da un unico trial randomizzato (8); nonostante ciò, la superiorità analitica di tale test rispetto al precedente, lo ha reso, negli ultimi anni, il test di scelta per i programmi di screening del cancro del colon. L’ iFOBT test è, in realtà, il test di screening di scelta in Giappone già a partire dal 1992 (9), mentre negli USA è stato approvato dalla Food and Drugs Administration nel 2001. Il test immunochimico utilizza anticorpi mono o policlonali rivolti contro la globulina umana, proteina costituente l’emoglobina. Gli anticorpi sono legati a particelle di lattice, queste vengono miscelate con il campione e se presente emoglobina umana, gli anticorpi riconoscono il proprio antigene legandovisi, e producendo l’agglutinazione del lattice. Quest’ultima determina un cambiamento della torbidità del campione, ed essendovi proporzionalità diretta tra l’aumento della torbidità e la concentrazione di emoglobina, è possibile calcolare fotometricamente la concentrazione della stessa. Dal momento che la struttura della globulina umana è unica, tale test non dovrebbe essere soggetto ad interferenze dovute alla presenza di sangue animale introdotto con la dieta. A differenza del gruppo eme inoltre, la globulina viene degradata più lentamente dagli enzimi proteolitici durante il suo tragitto all’interno dell’intestino, e ciò conferisce al test di agglutinazione al lattice una maggiore specificità per le patologie del tratto distale dell’intestino. L’iFOBT è più specifico e più sensibile rispetto al gFOBT, è in grado infatti di individuare anche minime tracce di sangue fecale (0.3 mL) (10).
La colonscopia assume una valenza secondaria rispetto all’ iFOBT nell’ambito dello screening del CCR, diversi studi sono stati condotti per valutarne l’efficacia come indagine di primo livello, dimostrando una limitata efficacia della stessa, come metodica di screening, nel ridurre l’incidenza e la mortalità del CCR. Studi recenti, inoltre, suggeriscono che essa potrebbe non essere così efficace nelle regioni destre del colon. Il range di età migliore per effettuare una colonscopia di screening è compreso tra i 50 e i 74 anni (11), non ci sono però attualmente prove dirette che confermino quale possa essere l’età ottimale per eseguire una colonscopia; prove indirette suggeriscono che la prevalenza delle lesioni neoplastiche in una popolazione di età inferiore ai 50 anni, è troppo bassa per giustificare una colonscopia di screening; mentre nella popolazione di età superiore ai 75 anni, la mancanza di benefici derivanti da tale metodica potrebbe essere il problema principale. Essendo comunque una metodica invasiva, l’esecuzione della colonscopia su tutta la popolazione suscettibile di screening del CCR, aumenterebbe notevolmente il rischio di complicanze legate alla metodica. Il bilancio dunque tra i benefici ed i rischi per i pazienti, utilizzando la colonscopia come indagine di screening, risulterebbe meno favorevole rispetto a quello ottenuto utilizzando il FOBT, poiché solamente quelle persone risultate positive alla ricerca del sangue occulto nelle feci sarebbero esposte ai rischi, e dunque ai danni potenziali, derivanti dalla colonscopia.
Bibliografia
[
Indice]
1.Ferlay J, Autier P, Boniol M, et al. Estimates of the cancer incidence and mortality in Europe in 2006. Ann Oncol 2007;18(3):581-592.
2.Baraldi G. Stato dell’arte e programmazione dell’assistenza alle malattie digestive. Quaderni del Ministero della Salute, N. 9, Ministero della Salute, maggio-giugno 2011.
3.Ciccolallo L, Capocaccia R, Coleman MP, et al. Survival differences between European and US patients with colorectal cancer: role of stage at diagnosis and surgery. Gut 2005;54(2):268-273.
4.Winawer SJ, Zauber AG, Ho MN, et al. Prevention of colorectal cancer by colonoscopic polypectomy. The National Polyp Study Workgroup. N Engl J Med 1993;329(27):1977-1981.
5.Von Karsa L. Cancer screening in the European Union. Report on the implementation of the Council Recommendation on Cancer Screening- First Report European Commission, Luxembourg, 2008.
6.Segnan N, Patnick J, von Karsa L. European guideline - First edition (2010). Available online from:
http://www.pathologie-guetersloh.de/informationen/leitlinien-empfehlungen-und/prostata-leitlinien-und- emp/crc_guidelines_publication.pdf
7.Brini C, Ierfone N, Pontone S, et al. Comparison between virtual and conventional colonoscopy in the screening of colorectal polyps. G Chir 2001;22(4):136-138.
8.van Rossum LG, van Rijn AF, Laheij RJ, et al. Random comparison of guaiac and immunochemical fecal occult blood tests for colorectal cancer in a screening population. Gastroenterology 2008;135(1):82-90.
9.Saito H, Soma Y, Koeda J, et al. Reduction in risk of mortality from colorectal cancer by fecal occult blood screening with immunochemical hemagglutination test. A case-control study. Int J Cancer 1995;61(4):465-469.
10.Saito H, Soma Y, Nakajima M, et al. A case-control study evaluating occult blood screening for colorectal cancer with hemoccult test and an immunochemical hemagglutination test. Oncol Rep 2000;7(4):815-819.
11.Segnan N, Senore C, Andreoni B, et al. Comparing attendance and detection rate of colonoscopy with sigmoidoscopy and FIT for colorectal cancer screening. Gastroenterology 2007;132(7):2304-2312.