Articoli Medicina del Lavoro - P&R Public
Anno 3, Trimestre 3
19.09.2013
“Aggravamento” o “Nuova Malattia” epilogo di un caso dopo la sentenza 46/2010 della Corte Costituzionale. Quando la soluzione di un problema, cambia la natura del problema.
 
 
Ossicini A, Miccio A

Autori   [Indice]

Ossicini A1, Miccio A2

Sovrintendete Medico Generale Reggente Inail
Dirigente Medico della Sovrintendenza Medica Generale Inail


Citation: Ossicini A, Miccio A. “Aggravamento” o “Nuova Malattia” epilogo di un caso dopo la sentenza 46/2010 della Corte  Costituzionale. Quando la soluzione di un problema, cambia la natura del problema. Prevent Res, published on line 19 Sep. 2013, P&R Public. 56
Available from: http://www.preventionandresearch.com/. doi: 10.7362/2240-2594.134.2013


doi: 10.7362/2240-2594.134.2013


Parole chiave: Istituto della revisione, malattia professionale, danno biologico



Abstract   [Indice]

La lettura degli atti, con le conclusioni cui si è pervenuti nel caso specifico – aggravamento di una ipoacusia trascorso il quindicennio, che era stato portato all’attenzione della Corte Costituzionale,evidenzia chela trattazione appare costellata di fraintendimenti -di metodo e di merito - da parte dei  diversi attori nelle fasi del giudizio; alla fine si è giunti ad una  valutazione ed interpretazione del nuovo principio dettato dalla sentenza,solo parzialmente, coerente con l’enunciato principio di diritto, non rispecchiando - nella concreta applicazione - il significato reale del comma 6 dell’art.13 del D.Lgs 38/200.

Testo   [Indice]

La sentenza 46/2010 della Corte Costituzionale - che ha statuito l’innovativo principio, che  l’ aggravamento di una malattia professionale accertato dopo la scadenza del termini revisionali, a seguito di protrazione dell’esposizione allo stesso rischio successivamente alla costituzione di rendita, deve essere considerato “nuova  malattia” ai sensi dell’art. 80[1] del T.U. n.1124/65 e non trattato ai sensi dell’art.137 (Revisione) -  era stata commentata a caldo in un articolo pubblicato nel marzo 2010 dal titolo volutamente stimolante “Aggravamento” o “Nuova Malattia” di una stessa patologia: una interpretazione suggestiva della Corte Costituzionale per superare i limiti posti dall’art.137 T.U. n.1124/65, revisione delle M.P[2].”
 
Nel commento ci si era permessi di affermare quanto segue: “…la soluzione trovata appare pertanto un pericoloso escamotage per non dichiarare l’incostituzionalità dell’art.137 nella parte in cui non prevede un termine diverso dei quindici anni, o meglio laddove questo termine non risulta in alcun modo collegato alla cessazione del rischio”e siconcludeva scrivendo che “L’input che ne deriva è quindi quello di considerare l’originaria domanda di revisione scaduta, come una nuova domanda, e questo lo vedremo allorchè su istanza di parte verrà riesaminato il caso alla luce di queste indicazioni…” soggiungendo come ulteriore problematica che “…essendo la domanda del 4.12.2003, non si era più nel regime di T.U. n.1124/1965 ma si ricadeva nell’art.13 comma 6 del D.Lgs. 38/2000”, conseguenza logica in considerazione che, dalla entrata in vigore della nuova normativa, non era ancora trascorso il termine  quindicennale previsto dalla revisione ex  art.137, e pertanto inevitabile il riferimento ai due regimi diversi .
 
Ora il caso,ha,da poco, trovato la sua definizione , dopo riesame  in Tribunale ed  anche in Corte di Appello, le cui motivazioni sono state depositate solo nel luglio  2012.
 
Dalla  lettura degli atti si rilevano una seriedimistakesmetodologici, normativi ed applicativi che, via via, si sono palesati nella trattazione del caso tanto che un buon scrittore di spy story non avrebbe potuto immaginare un percorso così intricato che alla fine,nonha portato ad una  soluzione aderente al nuovo enunciato principio.
 
Un percorso durato quasi 35  anni e…non completato!
Nel lontano novembre 1978 veniva inoltrata domanda all’INAIL per “Ipoacusia da rumore”,che l’Istituto assicuratore, dopo i necessari accertamenti,  definiva positivamente  con costituzione di rendita,dal  9.2.1980[3], nella misura del 37%; veniva effettuata una prima revisione nel 1983 in cui si confermava la valutazione, mentre la seconda revisione del giugno 1995, si concludeva con la rideterminazione del danno con percentuale del 20%.
 
Nel febbraio 2000 veniva emanato il D.Lgs 38/2000 che, oltre alla modifica del riferimento all’indennizzo Inail da “Attitudine al Lavoro”(A.L) a “Danno Biologico”(D.B.), ridisegnavacompiutamente,all’art. 9,la “rettifica per errore”.
 
Nell’ottobre del 2003 - tre anni dopo l’entrata in vigore del decreto di cui sopra - il titolare della rendita,  chiedeva l’applicazione dell’art. 9, alla revisione del 1995, di otto anni prima, da intendersi come “rettifica per errore”con richiesta, formale, di  ricostituzione della rendita al valore economico della percentuale del 37%, vista la normativa,fermo restando la valutazione oggettiva del danno al 20%
 
L’Inail accedeva a tale istanza - non entriamo ora nel merito della procedura adottata su cui si potrebbero fare altre osservazioni - e ricostituiva il corrispettivo economico per la rendita  al 37% con decorrenza 1.10.2000.
 
Nel dicembre 2003, due mesi dopo la rideterminazione di cui sopra, veniva inoltrata domanda di  aggravamento della ipoacusia con richiesta di danno del 43% in D.P.R. 1124/65,  segnalando, come motivazione dell’aggravamento, la persistenza dell’esposizione al rischio;l’Inail nel gennaio 2004,respingeva, in virtù della normativa vigente, l’istanza in quanto presentata ben oltre i termini quindicennali di revisione di cui all’art. 137 del sopracitato D.P.R, termini non derogabili come statuito da numerose sentenze della Corte di Cassazione.
 
Nel febbraio 2004 il soggettoricorreva in Tribunale contro detta decisione; il Tribunale dopo aver nominato CTU che confermava,facendo un raffronto degli esami audiometrici tra il 1994 ed il 2003,un aggravamento dell’ipoacusia,in data 30.12.2008, sollevava,ritenendo non completamente tutelato l’assicurato, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80 e 137 innanzi alla Corte Costituzionale.
 
Quest’ultima, con sentenza 46/2010 (12.2.2010)  dopo un breve richiamo in cui veniva  ribadita la differenza tra i precetti di cui all’art.80 e dell’art. 137dirimeva  il tutto dichiarando l’infondatezza della non legittimità costituzionale paventata dell’art. 137 in quanto “..quando  il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischiopatogeno, e si è quindi in presenza di una «nuova» malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella dettata dall’art. 80(e non dell’art. 137), estesa alle malattie professionali dall’art. 131. Tali norme, così interpretate, assicurano idonea tutela alla fattispecie descritta dal rimettente e pertanto, non è ravvisabile la denunciata violazione dei principi dettati dagli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione.”.
 
Alla luce di ciò  la causa veniva riassunta,velocemente, alla fine nel febbraio 2010; dalla lettura dell’atto si evince che  parte attrice non aveva  ben inteso la portata della sentenza, insistendo che la nuova valutazione dovesse  essere fatta come revisione e con valutazione all’attitudine al lavoro di cui al DPR 1124/65, l’INAILinvece segnalava che, stante la massima Costituzionale,  trattavasi, semmai,  di “nuova malattia” e che essendo stata denunciata nel 2003 soggiaceva al D.Lgs 38/2000 (danno biologico)  e che il tutto doveva essere trattato ai sensi e per gli effetti dell’art. 13, 6°c.
Il tribunale adito richiamavail CTU, che aveva rimesso a suo tempol’elaborato,   per rispondere al “nuovo quesito”, quesito che, a nostro avviso, non ben inquadrava la situazione  cui doveva essere data la risposta, secondo la indicazione della Corte Costituzionale.
 
Il CTU  nella relazione,  prima della remissione alla Corte Costituzionale,  aveva concluso adottando la tabella “Finulli” con le seguenti  considerazioni:
 
1995 danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 21%
2003  danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 41%
2008 danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 44%
(in realtà non danno biologico ma “danno all’attitudine al lavoro”, forse, un lapsus calami?)
 
Rivisitava, quindi,  il soggetto nel settembre ed essendogli stato esplicitamente richiesto, questa volta la valutazione in danno biologico, concludeva con:
 
2003  danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 31%
2008 danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 32%
2010  danno biologico per menomazioni dell’apparato uditivo 32%
 
non facendo  alcun riferimento al danno del 1995 che era il punto di snodo da prendere in considerazione.
Veniva nuovamente richiamatocon esplicito riferimento  al danno nel 1995Il CTU che, questa volta, con relazione del novembre 2010, concludeva in questo modo:  “..dal 1994 al 2003 si passa da un danno uditivo stimato del 21%[4] al 31% (in danno biologico)…” senza quantificare in danno biologico, come richiesto il danno del 1995.
 
Il Tribunale, che sembrava aver indirizzato correttamente il percorso,equivocava però nelle conclusioni.  Infatti,dopo avere preso atto  che tra il 2003 ed il 2010, l’aggravamento di un punto percentuale dal 31 al 32 %, era, come detto dallo stesso  CTU,   dovuto al processo di invecchiamento,  terminava sostenendo, con riferimento al danno pregresso del 37%,  che  “..posto i presupposti giuridici da cui il giudice si è mosso, sotto il vincolo interpretativo della Corte Costituzionale, induce a ritenere irrilevante, in quanto al di sotto del limite legale dell’indennizzabilità ai sensi dell’art.13, 2° c. d.l.vo cit., detta nuova malattia”, e pertanto respingeva il caso dall’indennizzo
 
Veniva proposto appello con richiesta, fondata,  di maggiore danno, ma inesatto nelle considerazioni e  motivazioni.
Affermiamo ciò in quanto veniva segnalato, correttamente, che il Tribunale aveva  omesso di valutare il vero periododa prendere in considerazione e cioè il range 1995/2003 ma,si pretendeva che la nuova valutazione dovesse essere fatta con riferimento alle tabelle del  DPR 1124/1965 e non a quelle D.Lgs 38/2000 (D.M. 25.7.2000) e che si doveva comunque applicare, per il caso di specie, l’art. 83, confermando di non aver ben colto la portata della sentenza della Corte Costituzionale che sosteneva ben altro.
 
La Corte di Appello non teneva conto di quelle censure, inidonee ed infondate, o meglio faceva presente che erano non pertinenti e concludeva applicando il nuovo principio sancito, aggravamento come “nuova malattia”.  e perseguendo  la metodologia dell’art.13, 6°  c. che statuisce che “…Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l'assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze. In tale caso, l'assicurato continuerà a percepire l'eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.”.
 
In base a tale procedura  riconosceva al soggetto la “nuova malattia” con una percentuale da indennizzare in capitale pari al 12%,  avendo il ricorrente un danno del 1995, valutato  al 20% ed un nuovodanno complessivo del 32% del 2008.
 
Peccato che la valutazione del 20% -attitudine al lavoro -  non era raffrontabile a quella del 32% - danno biologico -  e quindi non corretta l’effettuazione di una sottrazione con parametri di riferimento non omogenei,  così dando solo parziale risposta alla nuove istruzioni  intervenute.
 
Che si dovesse utilizzare la tabella del danno biologico in applicazione del comma 6 dell’art. 13 è pacifico  e l’INAIL, con nota  successiva  alla sentenza  n.46/2010 faceva presente che i postumi lesivi ricadenti in T.U., dovevano essere valutati con la nuova tabella delle menomazioni, e singolarmente la stessa  Corte in un passaggio affermava che i danni dovevano essere valutati  “..seguendo i parametri della nuova disciplina…” .
 
Considerazioni
Il caso è singolare sotto diversi aspetti e, come detto in premessa, è cosparso da diversi mistakesmetodologici e sconta, in parte,  anche il modificarsi delle interpretazioni normative nel tempo.
 
Una rendita del 37% per “ipoacusia da rumore” costituita nel 1980 su una domanda presentata nel  1978 che veniva confermata in revisione nel 1983,nel 1995 veniva ridotta ed il danno quantificato in revisione nella misura del 20%.
Dopo otto anni –nel 2003 -  in vigenza del D.Lgs 38/2000, su richiesta dell’interessato,alla revisione del 1995 veniva applicato l’art. 9 (Rettifica per errore) e ricostituita  la rendita  del 37%, fermo restando la quantificazione del danno al 20%.
 
Subito dopo veniva richiesta nuova revisione che, stante le norme vigenti, non poteva che essere respinta essendo palesemente trascorsi i quindici anni previsti dall’art.137 per l’ultima revisione.
Veniva proposto ricorso con due “verità” ed un principio sbagliato; le due verità erano che il danno si era aggravato, come documentalmente accertato,  e che il soggetto era stato esposto, allo stesso rischio,durante e anche dopo la scadenza del termini revisionali  per altri otto anni (1994/2003)ed il principio sbagliato che il termine “quindicennale” di revisione  generava solo una “..presunzione semplice, suscettibile  di prova contraria..”, quando univoche sentenze  della Cassazione, e della Corte Costituzionale affermano che il quindicennio, come misura di stabilizzazione degli esiti invalidanti non costituisce il risultato di una scelta arbitraria, ma risponde ad un bisogno di certezza dei rapporti giuridici e non è censurabile come incongruenza del legislatore del precetto di cui all’art.38 della Costituzione, soggiungendo “…almeno finche le acquisizioni delle osservazione scientifica in materia resteranno invariate...”
 
Il Tribunale, a fronte di un aggravamento certo, rimetteva la questione alla Corte Costituzionale per presunta violazione di tutela integrale alla luce dei paletti dell’art. 137; la Corte risolveva il tutto spostando l’esame del caso dall’art. 137 all’art. 80 come sopra rappresentato, ma in Tribunale, durante la riassunzione, avvenivano una serie di equivoci interpretativi.
 
Dapprima parte attrice, forte della prima perizia, chiedeva  tout court, l’applicazione della conclusioni con una valutazione complessiva del danno del 41% in danno D.P.R. n.1124/1965, come revisione ex. art.83 e l’Inail si opponeva asserendo, giustamente, che non era certamente questo il senso della Sentenza e si doveva trattare il tutto come nuova domanda ed applicazione della valutazione in danno biologico ai sensi dell’art. 13, comma 6.
Successivamente parte attrice ribadiva il suo convincimento asserendo che parte resistente aveva introdotto “..una nuova imprevista ed imprevedibile, quindi inammissibile, tesi sulla qualificazione della malattia…con una tesi del tutto nuova ed estranea all’oggetto della causa, oltre che contraria al senso comune…sostiene, anche se in modo contorto e confuso, che la Corte ha confermato la tesi della decadenza della domanda per avvenuto decorso del quindicennio e che l’art.137 concerne solo l’ipotesi dell’aggravamento conseguente alla naturale evoluzione della tecnopatia, e non quella dell’aggravamento per protrazione dell’esposizione morbigene… - cosa che in realtà, invece, la Corte ha effettivamente sostenuto - dimostrando così di non avere compreso i termini puntuali  della innovativa sentenzadella Corte Costituzionale.
 
Il Tribunale tenendo conto, apparentemente, della  nuova procedura, riconvocava il CTU che aveva già relazionato, chiedendo la valutazione non più in “attitudine al lavoro” ma con riferimento al “danno biologico”, ma con un quesito inesatto, in quanto, come si legge dalla relazione peritale del settembre 2010 veniva chiesto “Dica il CTU esaminato il ricorrente tenuto conto del valore invalidante alla data del 4.11.2003 se vi sia stata una evoluzione della malattia.. e valuti secondo i parametri del D.Lgs 38/2000”.
Il CTU rispondeva puntualmente al quesito con riferimenti dal 2003 in poi, ma questo certamente non risolveva il problema del periodo 1995/2003,  motivo del contendere.
Solo con la terza relazione del novembre 2010, “chiarimenti”,  il CTU esplicitava   i  valori  del 1995 e del 2003, 2008 e 2010.
 
Il Tribunale, che aveva in mano, ora, quasitutti i dati per potere emettere la sentenza, chiudeva negativamente il  ricorso.
 
Dalla lettura sia della sentenza  che della memoria di appello si rileva, che la parte  resistente in primo grado,  con memoria del 13.12.2010, prima della sentenza del Tribunale,  dopo aver dato atto che nel periodo 1994/2003 vi era stato si un aggravamento, segnalava che  “..il soggetto fruendo già della rendita del 37%  nulla può aver in più.”  e che il Tribunale, aderendo a tale posizione respingeva  il caso in quanto il danno per la “nuova malattia”era  al di sotto del limite legale dell’indennizzabilità ai sensi dell’art.13,2° c.
 
Laddove, però, in primo luogo,  il 37% era solo ai fini economici,dopo rettifica per errore, la quantificazione reale era, infatti, del 20% -  secondariamente i valori non erano comparabili in quanto aventi due riferimenti normativi/tabellari  diversi
 
La Corte di Appello   rimetteva, in parte,  la causa nel giusto binario, nonostante  una memoria di appello fuori misura, e riconosceva una “nuova malattia” con percentuale del 12%; diciamo “in parte”  perché la Corte non si è resa conto che i valori erano stati espressi con due tabelle diverse, e per la corretta applicazione doveva invece essere rivisto l’esame audiometrico del 1995 con valutazione secondo tabella del danno biologico e sottratta detta percentuale nuovamente “quali/quantificata” dal 32%; così non è stato fatto creando una valutazione non consona, anzi difforme dalla norma.
 
Che così, e solo così doveva essere fatto,non credo che si possa discutere;  nessuno, singolarmente  ha chiesto al CTU, in nessuna fase del Giudizio,  di quantificare il danno del 1995 in danno biologico, ne’ lo stesso ha considerato doveroso  tale riscontro, ne dell’anomalia si è resa conto la Corte.
 
Conclusioni
Partendo da una presunta carenza di tutela  del T.U. – nello specifico il limite quindicennale della revisione di cui all’art. 137, non superabile neanche con l’art.80 – la Corte Costituzionale ha indicato una precisa strada da percorrere; tuttavia chi doveva da subito percorrerlanon ha, invece,  saputo interpretarla,  ed ha insistito nei vari gradi di giudizio con motivazioni del tutto incoerenti ed inesatte, che però non hanno distratto da una corretta lettura degli atti chi doveva, poi, decidere;  peccato che alla fine, anche quest’ultimi, siano incorsi caduti in abbaglio  metodologico, laddove hanno dato corso ad una procedura applicativa dell’art. 13 , 6 c°, non idonea, non adeguandosi compiutamente alla diversa realtà in cui ci si doveva  muovere.
 
Il caso, interessante sotto diversi aspetti,  dimostra, singolarmente,  che non è sempre vero che per ottenere un riconoscimento  bisogna,soprattutto,avere  ragione e  che è anche fondamentale avere le  idee chiare su cosa richiedere;  e ancora più importante, da chi deve dare bla ripsosta,è saper interpretare correttamentetutti i fatti senza, magari,  farsi influenzare dall’originaria domanda.
 

[1]In realtà nel caso specifico il riferimento non è all’art. 80 ma, come poi palesato, nell’art. 13, 6° c, D.lgs38/2000.
[2]“Aggravamento” o “Nuova Malattia” di una stessa patologia: una interpretazione suggestiva della Corte Costituzionale per superare i limiti posti dall’art.137 T.U. n.1124/65, revisione delle M.P.”www.medicocompetente.it/.../552-Articolo-del-mese-di-marzo-2010.pdf
[3]N.B. Giova ricordare che, solo a metà del primo decennio del duemila, veniva fissata dalla Cassazione (n.6402 e 6403 del 2005) il principio che la data di costituzione della rendita, in assenza di temporanea, doveva decorrere dalla data della domanda e non dalla  data di comunicazione alla fine degli accertamenti da parte InaiI che poteva dipendere da svariati ed incontrollabili fattori.
[4]Valutazione in attitudine al lavoro ma non segnalato  in perizia!

Bibliografia   [Indice]

1. Alibrandi G. Infortuni sul lavoro e malattie professionali. Ed Giuffrè, 2002.
2.Antoniotti F , Ossicini A. Metodologia della valutazione del danno INAIL , art.78-art.83 T.U. n.1124/1965. Zacchia, Anno 64, 2-3 :199-212.
3. Bellina M L, Di Sora A, Lucchetta F, et al. Percorribilità della revisione strategie operative. Atti I Convegno Nazionale Medici Inail 1996; 1:501-504.
4.Ferrari G. Sui criteri di valutazione dell'inabilità permanente da infortunio sul lavoro e da malattia professionale. Protezione Sociale, 1966.
5.Maira GG, Di Salvo L, Albano N, Di Stefano E. Revisione critica del 6° c. dell’art.13 del d.lgs 38/2000: legittimata la duplicazione d’indennizzo? Aspetti medico legali e giuridici del problema della valutazione complessiva di danni biologici intervenuti su preesistenze indennizzate in rendita ex t.u., interessanti la stessa sede anatomica o sistema organo funzionale- Atti VIII Convegno Nazionale di Medicina Previdenziale, Inail, 2011.
6.Miccio A. Istituto della Revisione: ancora una garanzia completa per il lavoratore? 70° Congresso Nazionale SIMLI 2007. Giorn Med Lav Erg 2008.
7.Ossicini A. La consulenza in ambito Inail in “La Consulenza Medico legale” a cura di G. Umani Ronchi  Edizione Giuffrè 2001.
8.Ossicini A. Criteriologia della valutazione del danno confronto tra T.U. n.1124/65 e D.lvo n.38/2000, dall’attitudine al lavoro al danno biologico Rivista Infortuni e MP Inail 2001 I-II, 115 119
9.Ossicini A. Istituto della revisione Inail : 75 anni di storia e di interpretazioni. Rivista Infortuni e MP Inail 2011 I-II, 233-250.
10.Ossicini A, Cimaglia G. D.P.R. n.1124/65 Art.80 e 83. Separati in casa? IX Giornate Mediterranee di Medicina Legale Isola Capo Rizzuto (CZ), 1990.
11.Ossicini A, Mortara V. Visite di Revisione: Validità, Potenzialità, Arbitrarietà. Seminario Aggiornamento Inail, 2002.
12.Ossicini A, Miccio A. Modalità, criteriologia, validità della revisione ex art. 80 T.U. art 83 T.U. n.1124/1965 alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali. Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 2007; 1:115-125.
13.Ossicini A, Miccio A. Aggravamento” o “Nuova Malattia” di una stessa patologia: una interpretazione suggestiva della Corte Costituzionale per superare i limiti posti dall’art.137 T.U. n.1124/65, revisione delle M.P.” Available from: www.medicocompetente.it/.../552-Articolo-del-mese-di-marzo-2010.pdf .

Autore di riferimento   [Indice]

Adriano Ossicini
Dirigente Medico di II livello INAIL S.M.G.
e-mail: info@preventionandresearch.com

Download full text: