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Sostenibilità dei sistemi sanitari: aumentare il value, ridurre gli sprechi

Conference Report

Sostenibilità dei sistemi sanitari: aumentare il value, ridurre gli sprechi
Antonino Cartabellotta

Evidence 2015;7(11): e1000123 doi: 10.4470/E1000123

Pubblicato: 15 novembre 2015

Copyright: © 2015 Cartabellotta. Questo è un articolo open-access, distribuito con licenza Creative Commons Attribution, che ne consente l’utilizzo, la distribuzione e la riproduzione su qualsiasi supporto esclusivamente per fini non commerciali, a condizione di riportare sempre autore e citazione originale.

7th International Conference for Evidence-based Health Care Teachers and Developers. Increasing value, reducing waste

L’incantevole cornice di Taormina ha ospitato la settima edizione della International Conference for Evidence-based Health Care Teachers and Developers, organizzata dalla Fondazione GIMBE. Oltre 100 professionisti provenienti da 25 paesi di tutti i continenti si sono confrontati su un tema di estrema attualità: come incrementare il value e ridurre sprechi e inefficienze in sanità, integrando le migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone. Infatti, oltre 20 anni di ricerca sull’Evidence-based Healthcare hanno dimostrato che l’inadeguato processo di produzione, sintesi, presentazione e trasferimento delle evidenze genera numerosi gap tra ricerca e assistenza sanitaria e, di conseguenza, sprechi dovuti al sovra e sotto-utilizzo di farmaci, test diagnostici ed altri interventi sanitari.

La sessione introduttiva presieduta da Nino Cartabellotta — Presidente della Fondazione GIMBE — e da Sir Muir Gray — direttore del programma Better Value Healthcare all’Università di Oxford — ha chiarito in maniera molto netta che la sostenibilità dei sistemi sanitari è una sfida globale, ma che al tempo stesso non può essere ricondotta a una questione squisitamente finanziaria, in quanto un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di vincere diverse sfide. Pertanto, se le migliori evidenze scientifiche devono sempre guidare tutte le decisioni che riguardano la salute delle persone, è indispensabile mettere in atto strategie evidence-based per ridurre gli sprechi ed aumentare il value dell’assistenza, legittimando il passaggio dall’Evidence-based Medicine (EBM) all’Evidence and Value Based Medicine (EVBM).

Relatori di consolidata fama internazionale hanno illuminato la conferenza con le loro relazioni:
Sir Muir Gray (University of Oxford, UK), ha enfatizzato la necessità di utilizzare il value, inteso come il miglior risultato di salute ottenuto per unità monetaria utilizzata, sia per guidare il processo di budgeting in sanità, sia per identificare servizi e prestazioni low value da cui disinvestire ed high value su cui riallocare (box 1).
Trisha Greenhalgh (University of Oxford, UK), ha analizzato le criticità dell’EBM ed enfatizzato che per un suo “rinascimento†occorre ripartire dalle preferenze e aspettative del paziente, integrando epidemiologia clinica e statistica con altre discipline, al fine di contribuire davvero alla salute e al benessere delle persone.
Paul Glasziou (Bond University, Australia), ha illustrato il fenomeno della sovra-diagnosi, definendola come l’epidemia emergente del XXI secolo in vari ambiti, tra cui quello oncologico dove l’evoluzione delle tecnologie diagnostiche ha incrementato la prevalenza di alcune neoplasie senza determinare una corrispondente riduzione della mortalità (box 2).
Rod Jackson (University of Auckland, Nuova Zelanda), ha evidenziato il sotto-utilizzo delle strategie di prevenzione del rischio cardiovascolare globale, sottolineando che bisogna trattare il rischio assoluto e non i singoli fattori di rischio, quali ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, paradossalmente soggetti a overtreatment.
Per Vandvik (University of Oslo, Norvegia), ha presentato l’innovativo MAGIC, una piattaforma tecnologica per facilitare la creazione, disseminazione e implementazione delle migliori evidenze nella pratica clinica.
Brian Alper (EBSCO), ha riportato un clamoroso esempio di overtreatment conseguente a distorta sintesi delle evidenze: infatti, le linee guida raccomandano l’uso della trombolisi dopo oltre 3 ore dall’insorgenza dello stroke, nonostante l’efficacia sia incerta e i rischi ben definiti.

Infine, Nino Cartabellotta (Fondazione GIMBE) ha presentato la mappa degli sprechi nel SSN e il framework GIMBE per guidare il disinvestimento in sanità, permettendo la riallocazione delle risorse in servizi essenziali e innovazioni, secondo il principio che le risorse risparmiate in sanità devono restare nel SSN.

Il report integrale della conferenza è disponibile a: www.ebhc.org

La sostenibilità dei sistemi sanitari rappresenta oggi una sfida globale, ma al tempo stesso non può essere ricondotta a una questione squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette di risolvere cinque grandi sfide ampiamente documentate nei paesi industrializzati:

  • L’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie, non giustificata dalla eterogeneità clinica né dalle preferenze dei pazienti
  • Gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione, in particolare la sovra-diagnosi e il sovra-trattamento
  • Le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’high value
  • L’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione, specialmente quella non medicalizzata
  • Gli sprechi, che si annidano a tutti i livelli

In condizioni di crisi economica, qualunque paese può mettere in atto tre strategie per garantire la sostenibilità del proprio sistema sanitario (figura 1):

  • Ridurre il finanziamento pubblico, dedicando meno risorse alla sanità. In Italia questa strada continua ad essere ampiamente battuta, visto che dal 2012 la politica ha scelto di disinvestire pesantemente dal SSN sia per esigenze di finanza pubblica, sia per investire su altri settori. Infatti, dopo i 25 miliardi sottratti da varie manovre finanziarie nel periodo 2012-2015, la sanità pubblica ha recentemente lasciato per strada altri 6,8 miliardi, rispetto a quanto definito nel Patto per la Salute, senza tenere in considerazione le raccomandazioni dell’OCSE che, nel rapporto sul SSN del gennaio 2015, ribadiva la necessità di “garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa sanitaria non vadano a intaccare la qualità dell’assistenza†(1). Al contrario, il definanziamento della sanità pubblica in Italia si sta pericolosamente avvicinando a limiti che non solo minano la qualità dell’assistenza, ma compromettono anche la salute delle persone.
  • Identificare altri canali di finanziamento. Anche se i ticket rappresentano uno strumento impopolare per la politica e, oggi, poco sostenibile da una popolazione fortemente impoverita, le Regioni hanno autonomia di scelta come dimostrano i variegati e ripetuti interventi sulla compartecipazione alla spesa dei cittadini. Peraltro, la Legge di Stabilità 2016 ha confermato che le Regioni in piano di rientro potranno aumentare le aliquote fiscali locali per sanare il disavanzo sanitario. Nel frattempo, l’intermediazione assicurativa — in assenza di una governance istituzionale — si sta insinuando subdolamente tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare lentamente, ma inesorabilmente, il modello di un SSN pubblico, equo e universalistico in un sistema misto.
  • Ridurre gli sprechi e aumentare il value dell’assistenza, attraverso un rigoroso processo di disinvestimento e riallocazione delle risorse. Questa strategia è stata lanciata con il Patto per la Salute prevedendo che “I risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole regioni per finalità sanitarieâ€. Tuttavia, a seguito del riaccendersi del conflitto istituzionale tra Stato e Regioni dopo il varo della Legge di Stabilità 2015, la maggior parte delle misure previste sono rimaste inattuate.

Per guidare Regioni, Aziende Sanitarie e professionisti nel processo di disinvestimento da sprechi e inefficienze, quale strategia irrinunciabile per contribuire alla sostenibilità del SSN, la Fondazione GIMBE nell’ambito della campagna “Salviamo il Nostro SSN (2)†ha adattato la tassonomia degli sprechi elaborata da Don Berwick (3) e definito il potenziale impatto delle sei categorie integrando stime realistiche di diverse Istituzioni e organizzazioni (4) (tabella).


1. Sovra-utilizzo. Consistenti evidenze scientifiche documentano l’overuse di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e dal low-value a tutti i livelli dell’assistenza e da parte di tutte le professioni sanitarie e discipline specialistiche: farmaci, test diagnostici, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri. Tuttavia, il sovra-utilizzo di prestazioni inappropriate, in particolare quelle diagnostiche, non può essere giustificato solo dalla medicina difensiva, alla quale si affiancano altre determinanti: l’ipotrofia del ragionamento ipotetico-deduttivo e il prevalere della strategia diagnostica esaustiva, le perverse logiche di finanziamento e incentivazione di aziende e professionisti basate sulla produzione - e non sull’appropriatezza - delle prestazioni, la medicalizzazione della società che genera continui atti di fede per la tecnologia, le crescenti aspettative di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, il continuo turnover delle tecnologie che spesso immette sul mercato false innovazioni, decisioni e prescrizioni non sempre immuni da conflitti di interesse, le sentenze giudiziarie discutibili e gli avvocati senza scrupoli che contribuiscono a incrementare il contenzioso medico-legale (5).
2. Frodi e abusi. Negli anni si è radicata in Italia una vasta rete del malaffare che sottrae preziose risorse alla sanità pubblica, particolarmente esposta a fenomeni opportunistici, perché caratterizzata da un inestricabile mix di complessità, incertezze, distorsione delle informazioni scientifiche, qualità poco misurabile, conflitti di interesse, corruzione, estrema variabilità delle decisioni cliniche, manageriali e politiche. Tutti questi fattori rendono il sistema poco controllabile: di conseguenza, ingenti quantità di denaro sono esposte a condizionamenti impropri, che determinano varie tipologie di frodi, abusi e illeciti, sottraendo risorse preziose al SSN. Da non dimenticare, infine, i conflitti di interesse che favoriscono la diffusione di interventi sanitari inefficaci e inappropriati e alimentano svariati comportamenti opportunistici, che solo raramente sconfinano in frodi e abusi di rilevanza penale.
3. Acquisti a costi eccessivi. La limitata implementazione dei prezzi di riferimento e l’assenza di regole ben definite su scala nazionale fanno sì che i costi di acquisizione delle tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi, attrezzature, etc.), oltre che di beni e servizi non sanitari (lavanderia, mensa, pulizie, riscaldamento, utenze telefoniche, etc.), siano molto più alti del loro valore reale, con differenze regionali e aziendali assolutamente ingiustificate. Le “relazioni pericolose†tra questa categoria di sprechi e la precedente sono ben documentate a tutti i livelli.
4. Sotto-utilizzo. L’inadeguato trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica e all’organizzazione dei servizi sanitari determina l’underuse di interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’high value. Il sotto-utilizzo ritarda o impedisce la guarigione dei pazienti, aumenta le complicanze, determina ricoveri ospedalieri e interventi sanitari più costosi, genera assenze dal lavoro. Il sotto-utilizzo include anche la lotta contro stili di vita e comportamenti individuali che danneggiano la salute e per i quali esistono opportunità di prevenzione.
5. Complessità amministrative. Il sovraccarico di obblighi burocratici sottrae tempo prezioso ai professionisti sanitari in un contesto dove, paradossalmente, i costi del personale amministrativo rappresentano una consistente voce di spesa del SSN. Questa categoria di sprechi è generata da processi che aggiungono costi senza generare value, in particolare conseguenti a un mix tra eccessiva burocratizzazione, scarsa informatizzazione, ipertrofia del comparto amministrativo e mancata standardizzazione di tutti i processi non clinici con relative procedure.
6. Inadeguato coordinamento dell’assistenza. Gli sprechi si verificano sia tra ospedale e cure primarie, con assistenza del paziente in setting a eccessivo consumo di risorse rispetto ai bisogni, sia tra i vari servizi dello stesso setting per mancata standardizzazione dei percorsi assistenziali. Gli sprechi sono particolarmente evidenti per i pazienti con malattie croniche, nei quali l’assistenza a livello di cure primarie richiede un’appropriata integrazione con interventi specialistici e ricoveri ospedalieri. Per su-perare la cultura ospedale-centrica e la sterile dicotomia ospedale-territorio è indispensabile una ri-programmazione sanitaria in grado di assicurare una variabile articolazione di setting assistenziali per intensità di cura, riorganizzando i servizi con modelli sovra-aziendali in grado di condividere percorsi assistenziali, tecnologie e competenze professionali, oltre a modalità avanzate di integrazione socio-sanitaria.

In una fase successiva è stato sviluppato il framework per il disinvestimento, già oggetto di un protocollo di intesa siglato con l’Agenas (6): l’analisi dettagliata delle sei categorie, dimostra che per attuare un disinvestimento efficace è indispensabile un approccio di sistema che partendo da una regia nazionale, attraverso le autonomie regionali di programmazione sanitaria, deve estendersi a cascata all’organizzazione ed erogazione di servizi e prestazioni a livello delle aziende sanitarie, tenute a coinvolgere attivamente professionisti sanitari e cittadini, in particolare per le categorie di sprechi fortemente connessi con l’eccesso di medicalizzazione e l’inadeguato trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica, ovvero il sovra e il sotto-utilizzo di interventi sanitari (figura 2).

Se è vero che i tagli lineari alla sanità rischiano di erodere il diritto costituzionale alla tutela della salute, la consapevolezza che le risorse non sono infinite deve indurre a limitare gli sprechi, limitando interventi sanitari inefficaci e inappropriati per garantire la qualità dell’assistenza e contribuire alla sostenibilità del SSN. In questo processo, è indispensabile diffondere l’approccio less is more che oggi appare come l’unica strada per raggiungere il triplice obiettivo che tutti i sistemi sanitari dovrebbero perseguire: migliorare l’esperienza di cura del paziente, migliorare lo stato di salute delle popolazioni e ridurre il costo pro-capite per la spesa sanitaria. Infatti, se l’etica del razionamento appartiene alla politica, l’etica della riduzione degli sprechi è legata soprattutto alla professionalità dei medici, con le loro prescrizioni diagnostico-terapeutiche (7). Di conseguenza, guidati da un equilibrato mix di evidenze e buonsenso, i medici dovrebbero collaborare con le Istituzioni per identificare gli interventi sanitari inefficaci, inappropriati e dal low value, che riducono l’efficacia dell’assistenza, aumentano il rischio clinico per i pazienti e determinano un ingente spreco di risorse. Senza dimenticare che quando le evidenze scientifiche non supportano le richieste del paziente, il medico ha sempre il dovere etico di rifiutarle per contribuire a riformulare l’imperativo socio-culturale more is better – che ha trasformato il cittadino/paziente in consumatore — in less is more, vessillo di una medicina parsimoniosa.

Oggi, infatti, una prescrizione appropriata in “scienza e coscienza†non può tenere conto solo della esclusiva individualità del singolo paziente (individualized medicine), ma anche delle inaccettabili variabilità della prescrizioni (population medicine) perché il medico, in quanto gestore di risorse pubbliche, è responsabile della sostenibilità del SSN. Di conseguenza, il termine “medicina personalizzata†non può essere utilizzato per legittimare la libertà professionale incondizionata del medico, ma definisce la sua capacità di presentare al paziente in maniera equilibrata rischi e benefici di test diagnostici e trattamenti al fine di favorire una decisione condivisa. Infatti, considerato che il primum movens dell’inappropriatezza professionale è l’asimmetria informativa tra le evidenze scientifiche disponibili e le conoscenze integrate dai medici nelle proprie decisioni e dai cittadini-pazienti nelle scelte che riguardano la propria salute, solo il medico può fornire al paziente informazioni bilanciate su rischi e benefìci degli interventi sanitari, permettendogli di sviluppare aspettative realistiche e prendere decisioni realmente informate, diminuendo il ricorso alla medicina difensiva e riducendo le prestazioni inappropriate.

Ecco perché, indipendentemente dalla sua natura (pubblico, privato, misto) e dalla quota di PIL destinata alla sanità, la sostenibilità di un sistema sanitario non può prescindere da adeguati investimenti per migliorare la produzione delle conoscenze, il loro utilizzo da parte dei professionisti e la governance dell’intero processo di knowledge translation (KT), definito dal Canadian Institute of Health Research come un “processo dinamico e continuo che comprende la sintesi, la disseminazione, lo scambio e l’applicazione etica delle conoscenze al fine di migliorare la salute, fornire servizi, prestazioni e interventi sanitari più efficaci e appropriati, contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario†(8). Un modello efficace di KT deve prevedere innanzitutto un adeguato processo di generazione, sintesi e “distillazione†delle evidenze sino a ottenere per professionisti sanitari, decisori e pazienti prodotti fruibili e utili quali linee guida, HTA reports, strumenti decisionali per i pazienti (patient decision aids). Successivamente, ciascuna organizzazione deve attivare il “ciclo delle azioni†attraverso la definizione delle priorità, l’identificazione e l’adattamento locale delle evidenze, l’identificazione di barriere e fattori facilitanti, la pianificazione di una strategia di implementazione multifattoriale, la valutazione di impatto su processi ed esiti, la definizione delle strategie per sostenere l’utilizzo delle evidenze. In altri termini, piuttosto che affidarsi, con ragionevole insuccesso, alle capacità di aggiornamento continuo dei singoli professionisti l’intero processo di KT richiede da parte delle organizzazioni sanitarie l’utilizzo sinergico degli strumenti di clinical governance secondo un approccio di sistema: linee guida e percorsi assistenziali, audit clinico e indicatori, gestione del rischio, valutazione delle tecnologie sanitarie, formazione e sviluppo professionale continui, coinvolgimento dei pazienti, ricerca e sviluppo, staff management, etc.

Box 1. Sir Muir Gray: il XXI secolo sotto il segno del value

Dopo i princìpi che hanno contrassegnato riferimenti culturali e programmazione sanitaria degli scorsi decenni (efficacia negli anni ‘70-’80, EBM e costo-efficacia negli anni ‘90, qualità e sicurezza negli anni 2000), Sir Muir Gray non ha dubbi nell’affermare che il XXI secolo si dispiegherà sotto il segno del value. Il value, che in sanità definisce il risultato di salute ottenuto per unità monetaria utilizzata, si articola in tre dimensioni:

  • Allocativa, determinata da come le risorse vengono distribuite a differenti sottogruppi di popolazione, tra programmi, tra sistemi e all’interno dei sistemi.
  • Tecnica, determinata da quanto le risorse vengono utilizzate in maniera appropriata per soddisfare tutti i bisogni di salute.
  • Personalizzata, determinata da quanto le decisioni sono correlate a preferenze e aspettative della singola persona.

Considerato che gli sprechi includono tutto ciò che non genera value, ecco le dieci domande che un sistema sanitario dovrebbe porsi per capire quanto il value influenza realmente finanziamento, programmazione, organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari.
1. Quanto denaro dovremmo spendere per l’assistenza sanitaria?
2. Quanto denaro dovrebbe essere allocato per ricerca, formazione, tecnologie informatiche e servizi non clinici?
3. Le risorse per la sanità sono state distribuite nelle diverse aree del Paese con un metodo correlato alla variabilità dei bisogni, massimizzando il value per l’intera popolazione?
4. Le risorse per l’assistenza sanitaria sono state distribuite a differenti gruppi di pazienti (es. pazienti oncologici o psichiatrici) attraverso un processo decisionale equo che massimizza il value per l’intera popolazione? Ovvero, nell’ambito del budget di un programma le risorse sono state allocate per ottimizzare il value?
5. I costi possono essere ulteriormente ridotti senza aumentare i rischi o ridurre l’efficacia?
6. Il rischio clinico è minimizzato?
7. La qualità dell’assistenza è massimizzata?
8. Le risorse sono state allocate in modo da essere utilizzate per interventi sanitari appropriati e dall’elevato value?
9. Tutti i pazienti ricevono appropriatamente interventi sanitari ad elevato value?
10. Ciascun paziente sta ricevendo gli interventi sanitari che ne rispettano preferenze e aspettative?

Box 2. Paul Glasziou: l’overdiagnosis è l’epidemia del XXI secolo

L’overdiagnosis, definita come la diagnosi di una malattia che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce è un allarmante fenomeno alimentato da quattro determinanti sinergiche:

  • Aumentata sensibilità dei test diagnostici. L’evoluzione tecnologica ha determinato un progressivo aumento della sensibilità analitica sia dei test di laboratorio, in grado di rilevare concentrazioni sieriche sempre più basse, sia di quelli di imaging, capaci di identificare lesioni sempre più piccole. Questa evoluzione, se da un lato ha portato a valori prossimi al 100% la sensibilità dei test diagnostici (capacità di identificare i veri malati), dall’altro ne ha enormemente diminuito la specificità (capacità di escludere i soggetti sani). Di conseguenza oggi vengono diagnosticate patologie sempre più lievi che vengono trattate con gli stessi approcci terapeutici delle forme moderate-severe, contribuendo a sovrastimare l’efficacia dei trattamenti.
  • Screening in soggetti asintomatici. Gli screening oncologici identificano numerose lesioni non evolutive che non diventeranno mai sintomatiche, né saranno causa di mortalità precoce (pseudo-diseases o inconsequential diseases). Infatti, contrariamente alla percezione sociale che i tumori sono sempre malattie gravi e fatali, alcune neoplasie regrediscono spontaneamente, non progrediscono o crescono così lentamente che il paziente muore con il tumore e non per il tumore.
  • Overdiagnosis incidentale. La diffusione indiscriminata delle tecniche di imaging che esplorano addome, torace, pelvi, testa e collo permette di identificare i cosiddetti “incidentalomi†in circa il 50% dei soggetti sottoposti ai test diagnostici per altre indicazioni. Considerato che solo un numero molto esiguo di pazienti trae beneficio dalla diagnosi incidentale di un tumore maligno, la maggior parte di soggetti sperimenta ansia ed effetti collaterali conseguenti a ulteriori test diagnostici e terapie per una “anormalità†che non avrebbe mai causato alcun problema o per la quale una diagnosi precoce non migliora comunque l’esito. Come dimostrano vari studi, il rapido incremento nell’incidenza di alcune neoplasie maligne (melanoma, carcinoma prostatico, carcinoma papillare della tiroide) senza una corrispondente riduzione della mortalità tumore-specifica rappresenta una suggestiva conseguenza dell’overdiagnosis.
  • Ampliamento dei criteri diagnostici e diseases mongering. La continua modifica dei criteri diagnostici di numerose malattie (diabete, osteoporosi, insufficienza renale cronica, demenza, ipertensione, ipercolesterolemia, etc.) contribuisce a incrementare il numero di soggetti “malatiâ€, tanto che oggi l’intera popolazione anziana risulta affetta da almeno una condizione cronica, nonostante goda di ottima salute. Inoltre, semplici problemi comportamentali vengono classificati come malattie, identificando nuove entità nosografiche (diseases mongering). Di conseguenza, soggetti assolutamente sani, oppure a basso rischio o con problemi molto lievi vengono “etichettati†come malati; inoltre, considerato che in queste popolazioni si riducono i potenziali benefici dei trattamenti, aumenta la possibilità che il loro profilo rischio/beneficio sia sfavorevole. La modifica dei criteri diagnostici delle malattie viene effettuata da panel di esperti di organizzazioni e società scientifiche che mantengono spesso relazioni finanziarie con l’industria farmaceutica e tecnologica, che trae diretto beneficio dall’espansione del target di pazienti potenzialmente trattabili.