Articoli Psicologia - P&R Scientific
Volume 1, Numero 1
02.11.2011
La Devianza come problema sociale: le risposte della Psicologia
 
 
Tomei G, Sancini A, Di Pastena C, Marchione S, Caciari T, Nieto HA, Tomei F, Ciarrocca M

Autori   [Indice]

Tomei G1, Sancini A2, Di Pastena C2, Marchione S3, Caciari T2, Nieto HA4, Tomei F2, Ciarrocca M2

“Sapienza” Università di Roma, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria
2 “Sapienza”Università di Roma, Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro
3 “Sapienza" Università di Roma, Dipartimento di Anatomia, Istologia, Medicina Legale e Ortopedia 
4 Catedra Libre Salude y Seguridad en el Trabajo, Facultad de Medicina, Universidad de Buenos Aires, Argentina


Citation: Tomei G, Sancini A, Di Pastena C, et al. La Devianza come problema sociale: le risposte della Psicologia. Prevent Res 2011; 1 (1): 36-43. Availablefrom: 
http://www.preventionandresearch.com/.doi: 10.7362/2240-2594.006.2011


doi: 10.7362/2240-2594.006.2011


Parole chiave: devianza, anomia, potere, autorità, conformismo

Abstract   [Indice]

Scopo: Il comportamento deviante è tale in quanto infrange una serie di norme sociali più o meno consapevolmente riconosciute dai più. Scopo dello studio è descrivere e analizzare le caratteristiche di tale comportamento.

 
Materiali e metodi: Si è tentato di individuare le cause della devianza in un rapporto complesso con le figure genitoriali, con l’Autorità generalmente intesa, con i Gruppi sociali che detengono il Potere ecc. valutando teorie a partire dalla psicoanalisi fino alla più recente sociologia.
 
Risultati e conclusioni: Pur ammettendo la possibile presenza di un certo tipo di disturbi di personalità nella struttura psichica del deviante, non si può non puntare l’attenzione sulle metodiche che le varie società utilizzano per l’integrazione dei cittadini, soprattutto nelle agenzie fondamentali preposte all’educazione del minore: famiglia e scuola.
Metodi didattici all’avanguardia, che senz’altro forniscano al discente griglie comportamentali e regole di condotta, che però al tempo stesso non dimentichino la dimensione fondamentale del gioco, dello svago e della ricerca personale, sono da incentivare fortemente. Con la consapevolezza che, nel bambino e nell’adolescente, “trasgredire” determinate regole con coscienza critica e capacità di discernimento, aiuta a formare un cittadino consapevole, responsabile e rivolto all’innovazione di paradigmi comportamentali spesso datati e inadeguati, anche se comunemente accettati con passività dai più.

Introduzione   [Indice]

Il comportamento deviante è quello che si verifica quando un individuo, o un gruppo di individui, si discosta nelle sue parole o atteggiamenti da una presunta Norma comportamentale che in una data società o in un dato contesto è condivisa dai più.
Il cosiddetto deviante non accetta, o semplicemente non ha interiorizzato, le regole che vigono in un determinato contesto aggregativo e ne viola i presupposti, in maniera più o meno consapevole: la delinquenza o criminalità, la malattia mentale, l’abuso di droghe o alcool, alcuni comportamenti sessuali ecc. sono considerati forme di devianza che connotano l’individuo come “diverso” rispetto ad uno standard comunemente accettato in quel dato contesto, e lo rendono bersaglio di riprovazione sociale, condanna e spesso di ritorsioni punitive o denigratorie. La società fa sentire le sue norme specifiche all’individuo fin dalla prima infanzia, e tutta la vita dell’individuo si configura così come un “addestramento alla società”.
Le prime norme sono interiorizzate nel rapporto “madre-bambino” e ancor di più “padre-bambino”. La cosiddetta “socializzazione primaria” avviene nei primi anni di vita del bambino, quando la madre gli insegna ad es. ad usare forchetta e coltello per mangiare, per poi passare alla “socializzazione secondaria”, che avviene quando si entra a scuola e si iniziano ad apprendere le competenze per svolgere un proprio ruolo sociale.
Le varie forme di socializzazione avvengono secondo meccanismi di punizione e ricompensa. Non sempre la devianza può essere considerata oggettiva: spesso un dato comportamento risulta deviante in un paese e non in un altro, o in un dato periodo storico piuttosto che in un altro. Può capitare a volte, dato che la Società, o le varie società pongono sempre delle norme a difesa del proprio assetto, che il deviante, infrangendo dette norme, si ponga come una variante “X”, che sia cioè portatore di novità, di nuovi paradigmi che più avanti, quando il gesto deviante sia stato assimilato, diventino nuova norma essi stessi.
E’ altrettanto vero però che, se molti giudizi possono essere percepiti diversamente nello spazio e nel tempo, diverse norme sociali, e l’infrazione delle stesse, sono giudicate allo stesso modo nella maggior parte dei contesti: è il caso ad es. del divieto dell’incesto, dell’infanticidio, dell’uccisione del genitore ecc. Anche i mezzi di comunicazione di massa possono essere veicolo di normatività e socializzazione.
Ne è un esempio la Teoria della Spirale del Silenzio, formulata da Elisabeth Noelle-Neumann (1): secondo questa teoria gli individui si conformano, nelle conversazioni sociali, ai modelli e alle informazioni formulate e proposte loro dai mass-media.
Chi non vuole o non può conformarsi a questi modelli, piuttosto che apparire estraneo e in disaccordo con gli argomenti e i modi della conversazione, resta in silenzio. Per cui la spirale del silenzio è il meccanismo di integrazione che costringe appunto al silenzio coloro che dissentono dai messaggi e dagli stili di vita proposti a livello mediale.

Discussione   [Indice]

Una prospettiva storica
Il Controllo Sociale è elemento integrante di ogni società: ogni società è generatrice di forme di conformismo, di irreggimentazione, di meccanismi di persuasione e sorveglianza e di conseguenza di tecniche di sanzionamento e punizione della difformità sociale. La Psicoanalisi postula nell’individuo la presenza di un Super-Io che detta le regole del comportamento, il quale è il risultato dell’ ”introiezione” di regole sociali, delle quali i primi latori sono le figure genitoriali, in genere la figura paterna. L’individuo appunto introietta le norme sociali impartitigli dai genitori, e in seguito le fa sue, accorpandole nel Super-Io (2).
Queste regole del Super-Io si scontrano contro l’essenza pulsionale dell’individuo, il cosiddetto Es, contro cioè la forza degli istinti primari, riconducibili alla spinta del Principio di Piacere, il quale tende al soddisfacimento immediato e inderogabile di ogni impulso. Dallo scontro fra l’Es e il Super-Io, e delle rispettive istanze, si forma, secondo i principi-base della psicoanalisi, l’Io, che nell’individuo sano si riesce a conformare al Principio di Realtà, cioè al differimento e all’attesa nel soddisfacimento delle pulsioni primarie.
L’individuo malato o immaturo, al contrario, non riesce a tenere in equilibrio queste due forze contrastanti, è mosso inesorabilmente dal Principio di Piacere, e da qui nasce la sua tendenza ad infrangere le norme comunemente accettate e a “delinquere” da un ordine sociale prestabilito. Questo secondo appunto la psicoanalisi. L’individuo senza norme, isolato, preda dei suoi impulsi più profondi risulta vittima di quella che in sociologia viene chiamata Anomia (dal lat. A-nomos: assenza di leggi, di regole).
Gli studi sull’anomia sono fondamentali per le scienze sociologiche, e sull’individuo alienato, escluso dal tessuto connettivo della società e dell’aggregazione con i propri simili, sono sorte numerose teorie, fra cui quella sull’incidenza dei casi di suicidio rapportati alle caratteristiche del contesto sociale circostante (3). Sulla scia del testo di Talcott Parsons “The Social System” (4), una vasta parte di sociologia nord-americana (riunitasi intorno alla cosiddetta Scuola di Chicago) ha affrontato il problema della devianza, collegandola e rapportandola allo sviluppo incontrollato delle metropoli occidentali, con le conseguenze di disorganizzazione sociale, urbanizzazione selvaggia ecc. E’ stato sottolineato il formarsi e crescere, sull’onda della perdita di valore di alcune norme etico-sociali e dell’indebolirsi dell’influenza di alcuni gruppi primari, di un vasto strato di popolazione povera o indigente e con scarsa coscienza etico-comportamentale (5).
L’accorpamento di una working-class scarsamente o per niente istruita agglomerata in centri-dormitorio anti-igienici e iperaffollati ha causato il diffondersi di malessere e disagio sociale e l’emergere di bande di giovani emarginati delinquenti e border-line senza alcuna prospettiva occupazionale e quindi di integrazione. La Scuola di Chicago ha affrontato questi problemi dal punto di vista teorico e ha postulato la presenza del “relativismo” culturale alla base della devianza, per cui gruppi ed etnie sociali diverse stabiliscono il proprio rapporto con lo Stato e con le etnie dominanti in base ad un complesso codice che fa riferimento, per ciascuno, alla propria cultura di appartenenza, e quindi la tendenza a delinquere è presente tanto più quanto più è percepita la lontananza dai centri di potere e di elaborazione delle decisioni.
Ciò non toglie che la Scuola di Chicago si sia soffermata anche sugli atti di devianza realizzati dalla upper-class, la cosiddetta devianza dei colletti bianchi, in special modo per quanto riguarda i reati finanziari, le truffe bancarie e le speculazioni di borsa (6).
Secondo Robert Merton (7) le principali fonti di tensioni e frustrazione per i giovani, sia di classe povera che di classe elevata, sono le difficoltà a raggiungere uno status di vita elevato, o a mantenere quello riservato loro dai genitori. Inoltre le modalità con cui, a livello di gruppo e non ufficiale, viene sanzionato il comportamento del presunto deviante sono riconducibili ad altre forme di comportamento negativo e censurabile, riconducibili alle dinamiche del bullismo o altrimenti dette “dinamiche del Capro Espiatorio” (8). Secondo la Labelling Theory (Teoria dell’Etichettamento), sono i gruppi sociali dominanti che definiscono gli individui integrati e non, che danno la patente di outsider a seconda dei loro scopi per mantenere e difendere lo status-quo. La definizione di norma e devianza diventano dei concetti relativi attraverso cui i Gruppi al potere gestiscono il loro predominio. Secondo la labelling theory un individuo inizia la sua carriera deviante con un atto, un gesto, un comportamento, a volte del tutto accidentale, che subisce la disapprovazione sociale.
Poi, nel caso persista nelle sue modalità comportamentali, ne consegue l’isolamento, la riprovazione e la conseguente degradazione in termini di reputazione e ruolo percepito. In seguito il comportamento deviante si “fissa” e l’individuo diventa outsider in maniera definitiva. Chiaramente in questo caso i gruppi dominanti hanno buon gioco per inserire in quest’area tutti i soggetti o gruppi dissidenti o non conformi al loro modo di gestire i rapporti di forza e di pensiero. E’ evidente che da qui inizia tutto quel filone della sociologia che si occupa di analizzare i meccanismi di funzionamento del Potere, e che oltre a proporre punti di vista interessanti e fecondi, spesso ha portato ad una accettazione acritica e tollerante del punto di vista del deviante, altrettanto fuorviante e giustificatoria.
Erving Goffman (9) analizza i rapporti fra ruolo sociale e identità: quando il ruolo che si è assunto, o che si è stati costretti ad assumere in un dato contesto associativo, è troppo discrepante dalla propria identità, o da quella che si auto-percepisce o che è percepita dagli altri, questa discrepanza provoca disagio, senso di costrizione ed è un principio di incubazione di forme più o meno eclatanti di trasgressione. Altri autori hanno sottolineato il mutare del rapporto Repressione-Permissivismo, sbilanciatosi a favore di quest’ultimo, che è in realtà un falso permissivismo che impone invece una cultura materialistica e forzatamente e nevroticamente edonistica (10). E’ da queste analisi che provengono tutte quelle teorie che inscrivono la figura del deviante in un’ottica dialettica nei confronti dei sistemi di Potere dominanti.
In questo caso la devianza è solo una delle forme con le quali viene stigmatizzato il “pensiero divergente” o che comunque non si allinea con quello che viene ritenuto il pensiero globale. Prima in “Sorvegliare e Punire”, poi nella “Microfisica del Potere” Michel Foucault identifica il potere in una specie di reticolo di punti in vorticoso movimento, ciascuno dei quali fa sentire la sua influenza sugli altri: alcune categorie sociali e lavorative vengono quindi marginalizzate più di altre, ma non esiste chi è completamente escluso dalla rete di disseminazione e distribuzione del
potere. Ciascuno subisce un potere da qualcuno e lo fa sentire su qualcun altro, perciò non esistono per natura classi più giustificate nell’applicare meccanismi di devianza e altre meno (11, 12).
E’ però vero che esistono classi che detengono più potere in assoluto rispetto ad altre, e che modellano in generale la percezione delle opinioni comuni. La Sinistra critica e il pensiero ad esempio di Herbert Marcuse o Erich Fromm sottolineano il processo di omologazione che subiscono tutti i soggetti portatori di una visione personale e dissonante. Le classi al potere, attraverso i megafoni costituiti dai mezzi di informazione e dalle reti del controllo sociale, tentano e spesso riescono a ricondurre all’ordine ogni dissidenza e divergenza, anche attraverso i sistemi di detenzione coatta e di rieducazione comportamentale(10, 13). I movimenti cosiddetti dell’Antipsichiatria hanno origine da qui (14).
 
Classificazione
Attraverso l’analisi dei disturbi di personalità si può avere un quadro dei disturbi psicologici che, accentuando certi caratteri stabili dell’essere umano, rappresentano variazioni più o meno accentuate da una presunta Norma comportamentale riconosciuta:
Il DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) raccoglie in tre gruppi i vari disturbi di personalità;

Il gruppo A include i disturbi di personalità caratterizzati dal comportamento bizzarro, strano o eccentrico:

·Disturbo paranoide: chi ne soffre tende a interpretare il comportamento degli altri come malevolo, comportandosi in modo sospettoso;
·Disturbo schizoide: chi ne soffre non è interessato al contatto con gli altri, preferendo uno stile di vita appartato e distaccato. E’ caratterizzato anche da distorsioni del pensiero razionale;
·Disturbo schizotipico: rilevato in persone considerate eccentriche nel comportamento e nell’abbigliamento, con scarso contatto con la realtà e che danno molto peso e rilevanza a intuizioni magiche, sovrannaturali o paranormali.
 
Il gruppo B include i disturbi caratterizzati da un’emotività amplificata e imprevedibile e dall’instabilità delle relazioni affettive:

·Disturbo border-line: presente in chi soffre di impulsività, instabilità emotiva e relazionale e nell’idea di se stesso, oscillando tra posizioni estreme e contrastanti;
·Disturbo istrionico: chi ne soffre tende a ricercare in modo morboso e patologico l’attenzione degli altri, a mettere in atto comportamenti seduttivi e manipolatori e a manifestare in modo teatrale ed eccessivo le proprie emozioni;
·Disturbo narcisistico: chi ne soffre pretende in modo smodato l’ammirazione degli altri, pone se stesso al di sopra di tutto e patisce la mancanza di soddisfazione a questo impulso. Spesso sviluppa comportamenti sadici e auto-etero distruttivi;
·Disturbo anti sociale: chi ne soffre non sente il bisogno di rispettare le leggi, tende a violare i diritti degli altri, non prova senso di colpa per i danni commessi.

Il gruppo C include i disturbi caratterizzati da una forte ansia e da paure spesso immotivate:

·Disturbo evitante: il paziente tende ad evitare le situazioni sociali per paura di essere giudicato o osservato. Presenta marcata timidezza e forte senso di inadeguatezza e inferiorità;
·Disturbo dipendente: chi ne soffre sente il forte bisogno di essere accudito, protetto e difeso. Delega le proprie responsabilità ed è fortemente inaffidabile;
·Disturbo ossessivo-compulsivo: ha una forte tendenza al perfezionismo e alla precisione. Forte preoccupazione per l’ordine e per il controllo sulle cose e le persone. Tende ad eseguire i suoi compiti con maniacalità e soffre quando le cose non sono sotto il suo completo controllo.

Ammesso che detti disturbi siano niente altro che un’accentuazione di caratteristiche di personalità comunemente riscontrabili nella media dei soggetti della popolazione generale, è sicuramente vero che quando si configurano come disturbi di personalità generano nel soggetto una patologia più o meno marcata, che li inquadra come “soggetti devianti”.

La Devianza come rifiuto del conformismo
Si può quindi argomentare che la devianza costituisca, nelle sue basi, un Rifiuto dell’Autorità in senso generico: genitoriale, sociale, didattica ecc. E’ evidente che la formazione della personalità passa anche attraverso il rifiuto di una norma assodata per certa, e le migliori intelligenze spesso non si sono assoggettate ad un sapere consolidato ma hanno forzato, con i loro comportamenti e atteggiamenti, i limiti e la cornice delle usanze del tempo. Il filosofo e psicoanalista Wilhelm Reich (15, 16) ipotizza che la genesi e il consolidarsi dei movimenti di stampo fascista nelle varie nazioni a livello mondiale sia da ricondurre alla formazione, a partire dal livello atomistico della psiche dei singoli individui, della cosiddetta “corazza” caratteriale: uno scudo emotivo che il soggetto costruisce per difendersi dall’ansia causata dallo scontro fra pulsioni interne e risposte dell’ambiente.
Questo può verificarsi quando subentra un eccessivo tentativo di irreggimentazione dei meccanismi psicologici, e che causa una contrattura del libero fluire delle energie pulsionali, sia a livello corporeo che mentale. La devianza può quindi configurarsi attraverso molteplici modelli interpretativi, ed è chiaro come sia un argomento che possa anche essere oggetto di fraintendimenti e categorizzazioni scarsamente scientifiche e credibili.
E’ noto come in Usa e in altre nazioni occidentali spesso venga diagnosticato il cosiddetto Deficit dell’Attenzione (ADD-Attention Deficit Disorder), e anche somministrati farmaci, a bambini semplicemente vivaci, curiosi, sicuramente iperattivi ma con al contempo spiccate doti di creatività ecc. Lo scrittore Pier Paolo Pasolini (17) nella raccolta di articoli giornalistici “Lettere Luterane” elabora un breve trattato di pedagogia, che è costituito dalle “Lettere a Gennariello”. In questi scritti, pubblicati postumi sul Corriere della Sera e poi in volume, l’autore ipotizza un colloquio fra lui e un giovane “guaglione” napoletano, al quale Pasolini finge di rivolgersi direttamente e del quale ne descrive le caratteristiche fisiche e morali: si tratta di un giovane partenopeo allegro e irriverente, dai comportamenti un po’ disinvolti (è un “mariuolo”) ma non privo di intelligenza e in fondo di bontà d’animo.
Scrive Pasolini: “… il fatto che tu sia napoletano esclude che tu, pur essendo borghese, non possa anche essere interiormente carino. Napoli è ancora l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio (…) questo fatto generale e storico livella fisicamente e intellettualmente le classi sociali.
La vitalità è sempre fonte di affetto e ingenuità. A Napoli sono pieni di vitalità sia il ragazzo povero che il ragazzo borghese.” Napoli è perciò rimasta, secondo l’autore (che in seguito sarà costretto a ritrattare questa dichiarazione), miracolosamente intatta da secoli, uno degli ultimi avamposti quindi non aggrediti delle infiltrazioni piccolo-borghesi e moderniste che per Pasolini deturpano antropologicamente e irrimediabilmente le altre città italiane e i loro abitanti. Pasolini illustra all’immaginario giovane interlocutore l’Italia degli anni di piombo, il conformismo imperante e l’ideologia consumistica che si sono impadroniti della nazione.
E a questo ragazzo immaginario, simpatico, vitale, per nulla odioso come la maggior parte dei suoi coetanei, l’autore dedica delle righe assai illuminanti sul suo pensiero. In tutti i suoi lavori, dai romanzi “Ragazzi di vita” e “Vita violenta”, per passare ai film e agli articoli corsari, fino al libro-testamento “Petrolio”, Pasolini si rivolge a ragazzi “devianti”, che vivono valori diversi rispetto a quelli che la non-etica del consumismo e le false risposte del perbenismo propongono loro. Il suo sguardo si sofferma sulla loro mancanza di malizia, sul loro selvaggio anticonformismo e tenta di indicare loro una strada per non farli inglobare da un sistema corrotto e pervasivo.
Il discorso sulla devianza in Pasolini si fa complesso e privo di risposte banali e pacificatorie, alla ricerca di una libertà che sia vera, piena e non inquadrata in omologazioni e conformismi molto più deleteri e immorali di quella che lui considera, in questi ragazzi, una forma di “trasgressione” spontanea, vitalistica e in fondo innocua.
Il pensiero di Pasolini arriva ad una radicale condanna delle agenzie attraverso cui è veicolata la formazione in Italia e che sono preposte alla formazione del minore alla vita adulta: in un altro celebre articolo propone, in maniera un po’ provocatoria e paradossale, ma non priva di accenni sensati, l’abolizione della scuola dell’obbligo e della televisione per come erano intesi in Italia in quel periodo storico (anni ’60-’70), portatrici entrambe di valori conformisti e involutivi. E’ senz’altro vero che Famiglia-Scuola sono oggi in grave ritardo in confronto all’evolversi degli stili di vita della presunta modernità, mentre la società muta vorticosamente, e così il mondo aziendale e delle multinazionali, antitetico alle visioni provincialistiche e ingessate con cui è impostato il modello didattico-formativo nel nostro paese.
 
 

Conclusioni   [Indice]

Proposte

Si può quindi concludere che la rete delle norme sociali e del controllo sono strumenti indispensabili per la vita associativa ma spesso imbrigliano e etichettano i comportamenti di individui che portano in sé una quota parte di innovatività e originalità.
Si rischia così di stigmatizzare chi è portatore di idee e pensieri nuovi, originali e moderni, in virtù della egemonia di una cultura conservatrice e conformista. Nella maggior parte dei casi l’individuo deviante è senz’altro un individuo nella cui struttura psichica è possibile riscontrare la presenza di un certo tipo di disturbi di personalità. Le norme sociali, e il sanzionamento della devianza sono quindi strumenti e metodiche inevitabili in qualsiasi tipo di società che voglia essere efficacemente funzionante.
Non si può però non rilevare la forza innovativa di certi comportamenti e modi di agire e pensare, e puntare l’attenzione sull’inadeguatezza delle metodiche educative e di integrazione che fanno capo, in tempi attuali, alle agenzie fondamentali preposte alla formazione del minore: famiglia e scuola. Nell'opera “Homo ludens” (18) il filosofo olandese Johan Huizinga concentra la sua attenzione sul gioco come complesso sistema culturale: «(...) ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in forme e stati d'animo ludici: in tale "dualità-unità" di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al caso». Gregory Bateson, invece, individua l'essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio: dato che i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra", perché un'attività ludica sia veramente tale ogni giocatore deve poter affermare: "Questo è un gioco", cioè ci deve essere la consapevolezza che l'azione è fittizia e che "meta-comunica" questa sua finzione. Un tipo di percezione della ambivalenza e del carattere contingente circa il proprio ruolo simile a quanto espresso da Goffman (9). La metacomunicazione, quindi, per Bateson serve per rivelare la natura del "come se" del gioco, e la sua creazione di un mondo irreale in cui azioni fittizie simulano azioni reali.
Il gioco è quindi un elemento fondamentale dell’esplorazione del mondo da parte del bambino e dell’adolescente. Nel gioco si simulano regole diverse e alternative a quelle che sottendono al mondo reale. Nel gioco si impara a infrangere regole consolidate, a “carnevalizzare” il reale e a sottoporlo ad operazioni di sovvertimento, ribaltamento e contraddizione.
In molti giochi si incarnano identità fittizie (i role-playing games) e si infrangono e si smontano le regole di funzionamento della realtà di gioco e anche della realtà percepita, in virtù di una maggiore consapevolezza del proprio agire e di una più chiara e consapevole comprensione dei meccanismi di interazione con gli altri. Metodi didattici all’avanguardia, che senz’altro forniscano al discente griglie comportamentali e regole di condotta, che però al tempo stesso non dimentichino la dimensione fondamentale del gioco, dello svago e della ricerca personale, sono da incentivare fortemente.
Con la consapevolezza che, nel bambino e nell’adolescente, “trasgredire” determinate regole con coscienza critica e capacità di discernimento, aiuta a formare un cittadino consapevole, responsabile e rivolto all’innovazione di paradigmi comportamentali spesso datati e inadeguati, anche se comunemente accettati con passività dalla maggioranza (19).

Bibliografia   [Indice]

1. Noelle-Neumann E. La Spirale del Silenzio – per una teoria dell’opinione pubblica. Meltemi, Roma, 2002.
2. Barbagli M, Asher C, Savona E. Sociologia della Devianza, Il Mulino, Bologna, 2003.
3.  Durkheim, E. Les règles de la méthode sociologique, Alcan, Paris, 1895 ; Le regole del metodo sociologico, Edizioni di Comunità, Milano, 1963.
4. Parsons, T. The Social System, Free Press, Glencoe, Ill. 1951; Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1965.
5. Cohen A.K. Delinquent Boys. The Culture of the Gang, Free Press, New York, 1955; Ragazzi delinquenti, Feltrinelli, Milano, 1963.
6. Sutherland E.H. White Collar Crime, Holt, New York, 1949; Il crimine dei colletti bianchi: la versione integrale, Giuffrè, Milano, 1987.
7. Merton R.K. Social Structure and Anomia. American Sociological Review, 1938; III, 5:672-682.
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8. Gemmill G. The dynamics of scapegoating in small groups, in Small Group Research, 1989; Vol. 20 n.4.
9. Goffman E. The Presentation of Self in Everyday Life, Anchor Books, Doubleday, 1956; La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna,1969.
10. Marcuse H. L’uomo a una dimensione, Beacon Press, Boston, 1966. Einaudi, Torino, 1967.
11. Foucault M. Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris, 1974; Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976.
12. Foucault M. Microfisica del Potere, Einaudi, Torino, 1977.
13. Marcuse H. Eros e Civiltà, Beacon Press, Boston, 1955. Einaudi, Torino, 1964.
14. Mead G.H. Mind, Self and Society, University of Chicago Press, Chicago, 1934.  Mente, sé e società, Giunti, Firenze, 1992.
15.  Reich W. Psicologia di massa del fascismo, 1933. Belfiore F, Wolf A, SugarCo, Milano 1971; Mondadori, Milano, 1974.
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17. Pasolini P P. Lettere Luterane. Garzanti, Milano, 1975.
18. Huizinga J. Homo ludens. Amsterdam, 1938. Einaudi, Torino, 1972.
19. Bateson G. Verso un’ecologia della mente1972. Adelphi, Milano, 1977.

Autore di riferimento   [Indice]

Gianfranco Tomei
"Sapienza" Università di Roma, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria
Viale dell'Università, 30 00185 Roma – Italia
e-mail: gianfranco.tomei@uniroma1.it

 





 

 
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